THQ Nordic ha scommesso su di una piccola software house e ha vinto. L’ex startup tedesca Mimimi ha prodotto un videogame di pregio, ironico, sopra le righe e dannatamente intelligente
L’epopea del vecchio e selvaggio West affascina da sempre generazioni di bambini e adolescenti. Sceriffi, indiani, banditi, cowboy non sono certo scomparsi dall’immaginario collettivo e il successo di Red Dead Redemption II lo testimonia. Desperados III (qui il sito), dell’ex startup tedesca Mimimi Games, con sede a Monaco di Baviera, non segue il filone serioso di Rockstar, preferendo recuperare lo spirito scanzonato degli spaghetti-western all’italiana. Questo però non vuol dire che sia un videogame da prendere alla leggera, perché, come sa chi è stato svezzato con le fagiolate di Trinità da un lato e le pellicole di Sergio Leone dall’altro, ci vuole davvero poco per ritrovarsi a mangiare piombo incandescente…
Al pari dei due capitoli che lo hanno preceduto, anche Desperados III è uno strategico in tempo reale con visuale isometrica. Tutti paroloni tecnici, questi, per dire che la telecamera è a volo d’uccello e il gioco richiede di tessere tattiche d’assalto efficaci perché non ci si può permettere di avanzare facendo leva sulla forza bruta. Noi controlleremo un manipolo di disperati: il pistolero John Cooper, la sensuale Kate O’Hara, l’energumeno Hector Mendoza, lo scienziato Doc McCoy e l’inquietante Isabelle Moreau. Contro, però, avremo un esercito di banditi.
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Ciascuno di loro è dotato di abilità particolari: Mendoza ha una forza che non ha pari, Isabelle può sfruttare i suoi poteri per ipnotizzare i nemici e fare in modo che si attacchino tra loro oppure distrarli con il suo gatto nero, O’Hara farà leva sulle sue grazie per attirare la loro attenzione mentre i suoi complici sgattaioleranno nel buio, Doc è un ottimo cecchino nonché un medico molto esperto e via discorrendo.
I livelli (16, in tutto) sono veri e propri fortini pieni di nemici, tutti sgherri della spregiudicata DeVitt Company. Presi singolarmente, i nostri sono davvero un manipolo di disperati, nel senso che non avrebbero possibilità di sopravvivere per più di dieci secondi. Se collaboreranno, però, con l’astuzia, una buona dose di fortuna e facendo ricorso a sequenze sempre in bilico tra l’americanata spiccia e il rimando gustoso ai film sopra le righe di Bud Spencer e Terence Hill, riusciranno a uscirne interi e senza somigliare a uno scolapasta.
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Questo nonostante non sia affatto facile avere la meglio sugli avversari, per nulla stupidi e numerosissimi. A volte basterà lasciare alcune impronte sulla sabbia per avere il fiato del nemico sul collo. Scordatevi la colt: Desperados III è sì un western ma non si deve mai sparare, salvo che non vogliate ritrovarvi circondati. Meglio aggirare gli ostacoli e tendere agguati.
E poi bisogna sempre rimuovere i cadaveri di chi si ha steso. Le due gentili donzelle sono molto più deboli e dunque lente con un cadavere in spalla, abbiate allora l’accortezza di far fare il lavoro sporco a un gigante come Mendoza. Come vedete, non vi sarà consentito di tralasciare alcun aspetto.
Come si diceva, chi ha giocato ai due capitoli precedenti ritroverà la formula “trial and error” intatta. Formula che ha attirato le attenzioni di un distributore importante come THQ Nordic che ha deciso di finanziare Desperados III. E la differenza di budget è ben visibile: motore grafico tirato al massimo, animazioni migliori, un più alto livello di dettaglio ma anche livelli assai più stratificati e complessi. Ogni stage di Desperados III è un gioco nel gioco, un piccolo universo a sé stante in cui pianificare ogni mossa.
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Come negli scacchi, meglio fare avanzare i propri pezzi assieme, perché si diano supporto in caso di problemi. L’ideale è riuscire a distrarre i nemici con i “disperati” che meglio riescono in quell’intento, colpendoli poi quando meno se lo aspettano con i più letali. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il vecchio e selvaggio West e in Desperados III non ci sarà mai una sessione di gioco identica all’altra, perché può capitare che la strategia più scalcagnata vi porti alla fine del livello e quella più elaborata venga sconfessata in pochi istanti.
Scordatevi azioni in stile Rambo. La posizione dei nemici andrà studiata al centimetro
Desperados III è un titolo tosto e noi vi consigliamo di giocarlo al livello di difficoltà massima perché vi chiederà di far cooperare i vostri cinque eroi in modo ancora più elaborato, strutturando quindi strategie molto complesse. C’è persino la modalità Resa dei conti che permette di congelare il tempo, impartire a ciascuno un ordine e poi vedere tutti i membri del team agire all’unisono.
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Quando tutto fila liscio è un vero piacere, quando qualcosa va storto (non avevate calcolato la ronda di una sentinella che vi appare alle spalle, avete mandato uno dei vostri lungo una passatoia in legno che inizia a scricchiolare…) sarà comunque divertentissimo perché non si ha mai l’impressione che il gioco “bari”, ma si è sempre consapevoli che è stata una nostra disattenzione a essere costata la vita all’intera squadra di disperati.
Se non siamo dalle parti del capolavoro poco ci manca. E le nostre principali perplessità nel definirlo tale risiedono nel fatto che, talvolta, si avverte che la struttura è un po’ imbrigliata da limiti di giocabilità che oggi vorremmo veder superati. Così come Unity, il motore grafico scelto per impalcarci sopra Desperados III, più di quel tanto non può fare. Ottime, invece, le musiche, da Western “vero”: al leggio non ci sarà il maestro Morricone ma, con tutto il rispetto, non se ne sente la mancanza, specie considerato che ogni brano è studiato per livelli che richiedono lunghe sessioni di gioco (lunghissime, per gli standard odierni) e quindi sono ben più complessi delle solite musichette cui siamo abituati, o si sarebbero rivelate fin troppo ripetitive. Insomma, abbiamo davanti un titolo davvero solido, divertente e piacevole sotto tutti i punti di vista. THQ Nordic ha scommesso su di una piccola software house e ha vinto.