Si fa più plausibile un rompete le righe delle rigorose regole economiche comunitarie. La decisione lunedì
Almeno per tutto il 2020 potremmo non sentire più parlare del rapporto deficit / Pil. Ormai era diventato un compagno delle nostre esistenze, una frase ripetuta a ogni telegiornale, letta quasi quotidianamente su tutte le prime pagine, perché il nostro Paese, è noto, non ha i conti in regola e rischia ogni anno di non rispettare il patto di stabilità. Patto che, almeno per quest’anno, a causa del Coronavirus, potrebbe spezzarsi.
Pacta sunt servanda?
Nel pomeriggio di domani, su proposta della direzione generale degli Affari economici e finanziari (Ecfin) al cui vertice si trova Paolo Gentiloni, il collegio dei commissari discuterà, con una procedura d’urgenza, la comunicazione che contiene le linee guida sulla flessibilità del Patto di stabilità.
Leggi anche: Von der Leyen: “Italiani, non siete soli”. Borsa su e l’OMS dichiara la pandemia
In poche parole, si deciderà se sarà concesso a tutti i Paesi membri, per il 2020, di spendere “tutto ciò che sarà necessario” per fare fronte all’emergenza Coronavirus. Quindi via libera a spese ad libitum che riguardino i servizi sanitari, la cassa integrazione, e soprattutto anche il sostengo al PMI, startup e imprese. Soprattutto quest’ultimo punto è il più scivoloso, perché diversi tipi di supporto in genere vengono messi nel mirino dalla Commissione come “aiuti di Stato” finalizzati a falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune e impallinati come tordi. Nulla di rivoluzionario: il regolamento europeo 1467 del ’97 aveva già previsto la possibilità di allentare i legacci in casi straordinari.
L’eccezionalità della pandemia e della crisi economica, entrambi senza precedenti e dai risvolti ancora drammaticamente oscuri, stanno portando l’Unione europea a considerare di attenuare le regole più forti che si era data. Soprattutto, stanno portando i Paesi del Nord, noti rigoristi, a più miti consigli. Perché è indubbio che quando la pandemia sarà passata ci sarà da pensare all’economia. Alla nostra e a quella di tutti i Paesi del Vecchio continente, che rischiano di uscire da questa disavventura a pezzi.
Che cos’è il Patto di stabilità
Quanto al famigerato patto di stabilità (PSC), rientra nel contesto della terza fase dell’Unione economica e monetaria (UEM). Si prefigge di garantire che la disciplina di bilancio dei paesi dell’Unione europea (UE) continui dopo l’introduzione della moneta unica. Dalla grande crisi del 2008 che ha portato poi al salvataggio della Grecia, le regole di governance economica dell’Unione europea sono state rafforzate per mezzo di otto regolamenti comunitari e un trattato internazionale:
- il «six pack» (che ha introdotto un sistema per monitorare le politiche economiche in maniera più estesa, in modo da rilevare problemi come le bolle immobiliari o la perdita della competitività a uno stadio precoce);
- il «two pack» (un nuovo ciclo di monitoraggio per l’area dell’euro, che prevede la presentazione di documenti programmatici di bilancio alla Commissione europea ogni autunno da parte dei paesi dell’area euro, tranne quelli con i programmi di aggiustamento macroeconomico);
- il trattato del 2012 sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance (Fiscal Compact) che introduce disposizioni fiscali più severe del PSC.
Questo insieme di misure è ormai parte integrante del semestre europeo, il meccanismo di coordinamento delle politiche economiche dell’Unione europea. Nel gennaio 2015, a seguito di un riesame, la Commissione europea ha pubblicato una guida dettagliata su come andrà a applicare le regole del patto esistenti per rafforzare il legame tra riforme strutturali, investimenti (in particolare in vista del recente Fondo europeo per gli investimenti strategici) e responsabilità fiscale a sostegno della crescita e dell’occupazione. Per chi volesse saperne di più.