Un’azienda italiana tra i 5 leader mondiali nel settore della plasmaderivazione. Paolo Marcucci chiarisce perchè in situazioni di emergenza è necessario mantenere costante il flusso delle donazioni di sangue
Rientra tra i primi 5 players a livello mondiale del settore della plasmaderivazione, pur non avendo le dimensioni delle grandi multinazionali CSL, Grifols, Shire e Octapharma, ai vertici di un comparto che per ovvie ragioni è a tutti gli effetti strategico a livello nazionale: Kedrion Biopharma, realtà, anzi, gioiello del Made in Italy, colma il gap dimensionale puntando su R&D, in cui investe l’8% del fatturato annuo, e qualità. Qualità di processi, prodotti, capitale umano e relazioni. Già, relazioni con la rete allargata dell’associazionismo e dei donatori, perché alla base della filosofia del gruppo è radicata la consapevolezza di operare nella delicata posizione “ponte” tra l’ente pubblico (Kedrion è partner del Sistema Sanitario Nazionale, con cui il dialogo è più che consolidato, aperto e continuo), da un lato, e donatori e pazienti, dall’altro, destinatari ultimi delle terapie rese possibili dal circolo virtuoso donazione-lavorazione-fruizione. “Seguiamo l’intera filiera di frazionamento del plasma, dalla raccolta nei centri fino alla distribuzione nelle strutture di cura, ma è evidente che, al termine di tutte le fasi di trasformazione della materia prima, il prodotto finale non può essere assimilabile ad una qualsiasi altra merce, così come i fruitori delle proteine dei farmaci salvavita non sono trattabili alla stregua di clienti o consumatori” chiarisce Paolo Marcucci, Presidente e CEO di Kedrion. A motivare la definizione di “gioiello” concorrono i numeri: presenza commerciale in 100 paesi, sedi produttive in Italia, Ungheria e USA, 26 centri di raccolta plasma, 2600 dipendenti, per una crescita annua che dal 2011 si attesta attorno al 14%, e 12 certificazioni volontarie per produzione, risorse umane e ambiente.
L’intervista
Dottor Marcucci come valuta il sistema delle donazioni del nostro paese?
Le riserve di plasma sono garantite da una rete di centri di raccolta, in cui non esiste alcuno scambio di denaro, a differenza di altri paesi, come gli USA. Da noi il gesto di donare sangue è volontario e libero, ma non nutriamo alcun pregiudizio: quel che più conta è che ci sia consapevolezza e diritto di scelta da parte di chi si rivolge ai centri raccolta, che ad ogni step siano garantiti i massimi standard di tutela e sicurezza, e che i test siano eseguiti in laboratori protetti e certificati: da questo punto di vista, l’Italia può contare su strutture eccellenti.
In queste settimane di emergenza, abbiamo assistito ad un sensibile calo delle donazioni, cui, a seguito di una campagna di informazione, l’opinione pubblica ha fortunatamente risposto con una reazione positiva.
Occorre porre attenzione nel sensibilizzare i cittadini, anche in condizioni straordinarie, perché fondamentale è il mantenimento costante del flusso di donazioni, essenziale ad alimentare le riserve per la disponibilità dei farmaci salvavita, oltre che per tutte le operazioni ospedaliere. Questa filiera è la stessa che garantisce la cura di emofilia o forme di immunodeficienze. D’altra parte, messaggi involontariamente eccessivi possono determinare accumuli di sangue fresco, che non può essere conservato a lungo. A tal proposito, il nostro Paese è in grado di soddisfare l’70% del fabbisogno nazionale di farmaci plasmaderivati, una percentuale superiore alla media europea.
Intende questo con “autosufficienza”?
In condizioni straordinarie emerge la necessità di un sistema sanitario capace di reggere crisi impreviste, contando su risorse umane adeguate a sforzi protratti nel tempo, ma anche su un sistema produttivo che, in caso di blocco dei trasporti o di circolazione merci, consenta la disponibilità di dispositivi e mezzi, indipendentemente dall’approvvigionamento dall’estero, non conveniente, per altro, nemmeno da un punto di vista economico. Optare per politiche di medio lungo termine a sostegno del tessuto imprenditoriale nazionale, in generale, e, a maggior ragione, quando è in gioco la salute pubblica, è una scelta strategica necessaria e vincente, sul lato sanitario, sociale e finanziario.
A maggior ragione trattandosi di un comparto ad alto valore aggiunto
Esatto. Siamo in un ambito che attiva relazioni con enti di ricerca e università, favorisce scambi tra il mondo della distribuzione e dell’associazionismo e genera profitti piuttosto alti, perché l’intensità di capitale investito è considerevole. Questo aspetto spiega anche il motivo per cui l’industria della plasmaderivazione è profondamente radicata nel territorio in cui nasce: per il rapporto con gli enti pubblici, il coinvolgimento del mondo del volontariato nelle attività di formazione, la collaborazione con la rete di distribuzione, si instaura un legame profondo e strutturale con tutto un ecosistema. Difficilmente, insomma, chi opera in questo “ambiente”, penserà a delocalizzare, rincorrendo manodopera a minor prezzo.
Anche perché il peso della qualità è piuttosto rilevante all’interno dell’intero ciclo.
A questo proposito, è fondamentale per noi mantenere un dialogo, aperto e diretto, con i “corpi intermedi”, penso agli enti regolatori deputati all’ampio capitolo di licenze, ispezioni, test di validazione e a tutte quelle prassi che rappresentano passaggi obbligati nella nostra quotidianità, al fine di inoltrare istanze tese al superamento delle attuali criticità. Ad esempio, non è paritetico l’iter di approvazione per l’import-export di plasma, differente fra i veri Paesi europei e gli USA: ecco, con le authority ci piacerebbe affrontare, ad esempio, il tema dell’approvvigionamento di plasma dall’estero.