Il Paese è in default per la nona volta nella sua storia, la terza dall’inizio di questo secolo
Era solo questione di tempo. E non lo diciamo perché questo è il nono fallimento del Paese, il terzo dagli anni Duemila. Lo scriviamo soprattutto in quanto Buenos Aires aveva proposto ai suoi creditori un piano di rientro difficilmente tollerabile. Tuttavia, dato che il più esposto è il Fondo monetario internazionale, che ha prestato alla Casa Rosada qualcosa come 44 miliardi, la trattativa con l’Argentina proseguirà oltre il tempo massimo, fino al 2 giugno. Con i venti della ventura crisi economica legata alla pandemia che iniziano a soffiare sempre più minacciosi, l’FMI non vuole rinunciare con leggerezza al proprio capitale. In più, si teme che il default del Paese sudamericano possa innescare una sorta di effetto domino…
Perché l’Argentina è fallita. Di nuovo
Il Paese, che si trascina nuovamente un debito pubblico di 323 miliardi pari all’88% del PIL, questa volta non ha nemmeno provato a mettere i conti in ordine, preferendo imporre ai creditori un ultimatum. Il Governo di Alberto Fernandez ha messo sì sul tavolo una manovra da 67 miliardi di dollari ma, con una mossa piuttosto spregiudicata, la ha anteposta a condizioni “lacrime e sangue” per chi dall’Argentina attende il pagamento dei debiti.
Immagini di repertorio dei precedenti default dell’Argentina
Il Ministro delle Finanze Martin Guzman ha infatti chiesto ai creditori internazionali di digerire una moratoria di 3 anni per la sospensione del pagamento degli interessi cui si aggiunge un taglio della cedola al 2,33%. Il taglio della cedola, in termini di minori interessi pagati, si tradurrebbe per il Paese in un risparmio di 37,9 miliardi. Una enormità difficile da accettare, anche perché non è detto che alleggerire il debito pubblico salvi l’Argentina dal fallimento.
Immagini di repertorio dei precedenti default dell’Argentina
La folle danza dei Tango bond
Non dimentichiamo comunque che la propensione del Paese a finire gambe all’aria a ogni piè sospinto ha reso particolarmente vantaggiosi – benché ampiamente speculativi – i suoi titoli, se si considera che il rendimento medio ponderato ammonta annualmente al 7% e sfonda pure tale percentuale il bond a 100 anni emesso sotto la legislazione internazionale.
Chi ha investito, insomma, lo ha fatto nell’ottica di lucrarci e pure parecchio, sapendo però che stava giocando una partita con un banco che rischiava di saltare. E adesso c’è nuovamente il tema dei Tango Bond: dove sono? Rischiano di creare voragini in istituti importanti? In teoria no, perché erano titoli attenzionati, in teoria vietati a istituti di credito e fondi pensioni. E questa volta non dovrebbero essere stati travolti neppure tanti piccoli risparmiatori (al contrario del fallimento argentino del 2002, che travolse circa 450mila azionisti italiani per un totale di 14 miliardi di dollari spesi in «tango bond» e mai più restituiti): anche il più ingenuo oggi sa che l’Argentina fatica a pagare i debiti. Lo scorso 12 maggio Borsa Italiana ha disposto la sospensione degli strumenti sul mercato EuroTLX: dai bond in scadenza fra il 2021 ed il 2022 al titolo di Stato centenario in scadenza nel 2117.
Nuovo termine per salvare il Paese
Spirato senza successo l’ultimo termine per addivenire a un accordo tra debitori e creditori, le trattative procederanno almeno fino al 2 giugno. I due principali creditori della Casa Rosada, l’FMI e il fondo stanutinse BlackRock, non ci stanno a veder sfumare così i propri soldi. Anche perché la tranche di interessi che l’Argentina non è riuscita a rimborsare per tempo è tutto sommato modesta: mezzo miliardo di dollari. In più, gli esattori sono consapevoli del fatto che al momento, con la pandemia che infuria ancora su due terzi del pianeta e una gigantesca crisi economica in rapido avvicinamento, nessun Paese sarebbe in grado di onorare i propri debiti. La volontà, quindi, è quella di non calcare la mano perché il timore che il fallimento argentino si riveli il metaforico battito d’ala della farfalla che crea tornado dall’altro capo del pianeta è forte.
Il fallimento del Libano
Di fatto, però, quello dell’Argentina è già il secondo default avvenuto dallo scoppio della pandemia di Covid-19. Il primo Paese a dichiarare la bancarotta è stato infatti il Libano. A inizio marzo Beirut si è afflosciato sotto un debito di 1,2 miliardi di dollari. Una somma tutto sommato piccola, resa enorme dal debito sovrano, arrivato a scavalcare il 170% del PIL. In realtà, in entrambi i casi, la pestilenza ha infuriato lungo due Paesi che versavano già in condizioni disperate (il Libano in particolare è stato messo in ginocchio dal conflitto in Siria, che ha riversato all’interno dei suoi confini la marea umana di disperati in fuga dal conflitto, avendo la Turchia chiuso prontamente i suoi confini, ricattando l’Europa). Il Covid-19 non ne ha agevolato certo la guarigione, ma non è stato nemmeno responsabile della “malattia economica” delle due nazioni che ora rischiano di essere solo le prime di una lunga fila di Paesi a finire KO: tante economie instabili, malandate e precarie rischiano ora di non essere sufficientemente forti da reggere all’impatto della crisi che già si staglia all’orizzonte. Insomma, potremmo essere solo all’inizio, perché la farfalla sta ancora sbattendo le ali.