Quali sono le criticità della moda e le opportunità per startupper? Lo raccontano tre esperti, Simone Maggi (Lanieri), Giusy Cannone (Fashion Technology Accelerator) e Pasquale D’Avino (Throwback).
Imprenditori, operai, stilisti, modelli, fotografi, influencer: è lunga la lista della categorie professionali della moda danneggiate dal Covid 19.
In termini numerici, le associazioni del settore, come Federazioni Moda Italia, prevedono per il 2020 un calo del 50% del fatturato per tutto il comparto, che nel 2019 ha conosciuto ricavi per 90 miliardi di euro.
L’emergenza ha gettato luce sulle problematiche mai risolte della filiera, tra cui i processi lunghi e complessi che separano i designer (la parte creativa) dal mercato, l’assenza di politiche di sostenibilità per molti brand. E soprattutto la scarsa digitalizzazione, in un comparto in cui, per dirla alla Simone Maggi di Lanieri, “il tech è ancora considerato una roba fredda da nerd”.
Quali sono le criticità della moda e le opportunità, soprattutto per gli startupper, nel breve e medio periodo? Per rispondere a questi interrogativi, abbiamo raggiunto tre esperti: il già citato Simone Maggi, Ceo di Lanieri, Giusy Cannone, Ceo del Fashion Technology Accelerator, e Pasquale D’Avino, creatore del brand internazionale per Millennial, Throwback.
Il gaming è di “moda”
Giusy Cannone, con il suo Fashion Technology Accelerator, ha un osservatorio privilegiato per comprendere le nuove tendenze dell’incontro tra moda e hitech:
«Negli ultimi anni la moda è stata pronta a recepire le novità sul fronte comunicazione, cavalcando meglio di altri brand l’onda dei social, usando canali come l’influencer marketing e migliorando il suo servizio clienti. Dall’altra parte si è bloccata sul fronte della vendita online e sui cambiamenti necessari nel sistema di produzione, che è oggi l’antitesi dell’adattabilità», ci spiega Giusy.
Il Ceo evidenzia le criticità, presenti nel comparto ben prima dell’irruzione del Covid 19, come quelle che affliggono il ciclo di produzione: dalla fase di creazione del modello e prototipazione, fino al lancio sul mercato, infatti, esiste ancora una lunga serie di passaggi intermedi, tra produzione, fiere, accordi con i buyer, fino all’arrivo dei capi nei negozi. Un modello che ha ben poco di sostenibile, spiega Cannone:
«Molti brand di moda studiano dei modelli “direct to consumer”, un tema caldo soprattutto tra i designer, che per giungere ai consumatori percorrono strade vecchie e poco efficaci. I brand cercano sviluppi più sostenibili, sia nei materiali che nei modelli di business e le startup hanno un ruolo nell’offrire loro delle soluzioni».
Startup che stanno già mettendo sul piatto molte novità, come l’incrocio tra il fashion e il gaming – tra le strade più interessanti da percorrere per Giusy – che sta creando delle forme ibride di esperienze per gli utenti, sia fisiche che digitali.
Insomma, le opportunità sono tante per gli startupper della moda ed è il momento giusto per lanciarsi, proprio ora che i grandi brandi non sono più snob e sordi alle soluzioni digitali:
«Vincerà chi saprà trovare sempre nuove forme di interazione tra il mondo fisico e digitale. Penso a startup che stanno realizzando vetrine interattive con display dove guardare i capi e fare acquisti online con uno smartphone; oppure a chi unisce più esperienze di acquisto, con commessi “influencer” che sanno intrattenere i clienti e mostrare con competenza le caratteristiche di un capo da remoto. Mentre i modelli del fast fashion saranno più in crisi e questo si rifletterà nell’aumento della qualità per i consumatori finali», conclude Giusy.
Un tasto “reset” per il mondo fashion
Il Covid 19 è il tasto reset sul mondo della moda. Questa è l’opinione di Pasquale D’Avino, fondatore di Throwback, marchio che, celebrando momenti iconici degli ultimi 50 anni, è posizionato in mezzo mondo (Uk, Svizzera, Spagna, Olanda, Israele, Russia Australia, Emirati Arabi, Cina), espone in negozi celebri come Selfridges e Luisaviaroma, mentre sta per chiudere un secondo round di investimento:
«Questo clima di incertezza sta togliendo a noi imprenditori la possibilità di pianificare i passi utili allo sviluppo del nostro business, in un settore che più di altri si fonda su programmazioni e stagionalità», spiega Pasquale.
Eppure, per l’imprenditore è proprio questo il momento per cambiare le regole del gioco, di essere dei “game changers”, per usare il nome di una collezione Throwback che vede tra i protagonisti rivoluzionari del business, come Steve Jobs, Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini:
«Penso a tutti gli sprechi ed eccessi derivanti dal fashion, con l’offerta che supera nettamente la domanda. C’è un grande bisogno di rallentare, impedendo che si accavallino le stagioni, anche per dare più valore ai nostri prodotti totalmente made in Italy».
L’isola felice anche per Pasquale è il digitale, con alcune idee innovative: «L’utilizzo di webcam per i commessi per mostrare i capi in boutique, programmi di realtà aumentata per misurare gli abiti a distanza, e strumenti più comuni, come e-commerce ormai adatti a tutti e facili da strutturare».
Anche se la tecnologia finirà per danneggiare l’esperienza diretta degli utenti nei negozi, soprattutto in un Paese ricco di botteghe storiche:
«La domanda non è la digitalizzazione, ormai necessaria. Ma in quanti avranno la forza economica di rivoluzionare in pochi mesi business che hanno più di 40 anni? Ci vorranno i giusti partner e le giuste risorse: le startup saranno decisive in questa fase. Senza il loro supporto, le botteghe storiche rischiano di restare indietro ed essere escluse del tutto in futuro», conclude Pasquale.
Il digitale nella moda, non più roba da nerd
Quando si parla del rapporto tra moda e digitalizzazione non si può escludere Simone Maggi di Lanieri, una delle startup italiane di maggiore successo nel comparto. La crisi ha colpito anche il loro modello di business, ma Simone e il suo team hanno saputo reagire, partorendo delle idee come il sarto digitale:
«L’idea è molto semplice: una nuova esperienza d’acquisto da remoto con sarti che guidano l’utente in tutte le fasi, dalla misurazione della taglia, alla scelta dei tessuti del capo, da remoto, in appuntamenti virtuali. In poco tempo abbiamo fissato centinaia di appuntamenti, molti dei quali all’estero».
Simone ci parla di come la moda sta reinventandosi intorno a due parole, sostenibilità e omnicanalità:
«La moda è uno dei comparti maggiormente responsabili dell’inquinamento globale, soprattutto a causa del fast fashion. I consumatori post covid 19 saranno sempre più attenti a quello che acquistano e alle dinamiche della filiera. In più, chiederanno più punti di contatto con l’azienda, sia online che offline».
Simone evidenzia poi un altro aspetto che risulterà fondamentale nella moda del post Covid 19: la capacità di raccontare i prodotti in modo più trasparente e diretto, sia online, che offline, con commessi più preparati, con una conoscenza dei prodotti nel dettaglio.
«Il racconto sarà ancora di più al centro della scena. Ci saranno sempre più brand che seguiranno la strada della sostenibilità e del marketing, in stile Patagonia. E anche i grandi brand faranno scelte diverse di promozione con sfilate virtuali che avranno due vantaggi: la possibilità di svolgerne di più ogni anno – quattro, per esempio, rispetto alle due in media oggi – , e un minore impatto sull’ambiente e sui costi».
Anche lui, la vera rivoluzione avverrà nei meccanismi della filiera, grazie all’efficientamento e all’esplosione del direct-to-consumers: “Così si eviterà di gettare tantissimi capi nell’immondizia, come si sa da recenti casi di cronaca”.
Alla fine del suo intervento, offre qualche consiglio agli startupper della moda:
«Create modelli di business che abbiano due obiettivi: efficientare la filiera della moda e rendere il fashion un modo migliore. Se lo farete si apriranno le opportunità. Per iniziare con il piede giusto, stringete partnership con qualcuno che conosca bene il mercato e che creda nel vostro prodotto».