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Intervista doppia al Founder e CEO di P101 SGR e al Founder & CEO di Milkman – Parte 1
Visione, rapidità, freddezza un pizzico di buona sorte. Sono questi gli elementi comuni alle due storie imprenditoriali a lieto fine di cui sono stati protagonisti Andrea Di Camillo, fondatore e CEO di P101, e Antonio Perini, imprenditore seriale e la mente dietro a Milkman, la società logistica nel cui capitale, lo scorso maggio, sono entrate Poste Italiane (AUC da 25 milioni di Euro, ne abbiamo parlato qui) e che con Andrea nel 2010 aveva condotto la prima exit di un’altra startup, Viamente, finita agli americani di Workwave. Ecco la storia, raccontata in una intervista doppia.
Partiamo dall’inizio. Quando e perché vi siete incontrati? E cosa vi ha colpito dell’altro?
Antonio Perini: lavoravo in un’azienda di tecnologia per la videocomunicazione, Mirial, a Milano. Con un collega dell’epoca ragionavamo, nel tempo libero, a nuove idee da sviluppare. Ho cercato Andrea, all’epoca socio e manager di Banzai con un “passato” nell’allora quasi inesistente mondo del venture capital e interessi ancora in quell’ambito. Ho cominciato a raccontargli di Viamente, della tecnologia sottostante, che in quel caso serviva a ottimizzare i percorsi logistici ma poteva avere un’ampia gamma di applicazioni “pratiche” come ad esempio Cortilia, la società poi fondata e gestita da Marco Porcaro, il collega con cui “sognavamo” un futuro da startupper. In questo caso il servizio che offriva Viamente veniva “abbinato” all’ottimizzazione del trasporto delle verdure: dall’agricoltore al consumatore. La base tecnologica comune avrebbe abilitato più servizi: io raccontavo la tecnologia ma Andrea si annoiava. Me ne sono accorto e, per fortuna, ho virato il pitch sul servizio anziché sulla tecnologia, raccontando del progetto Cortilia (che all’epoca avevamo chiamato Geomercato).
Andrea Di Camillo: Per fortuna, davvero. Quando Antonio ha iniziato la demo di Cortilia è stato come una “sveglia”: intravedevo le potenzialità del business sul lungo periodo e intravedevo nel frattempo il profilo imprenditoriale e manageriale di Antonio, elemento che – insieme a un buon team – rappresenta il 50% della riuscita di un percorso start-up/VC. Ho cominciato a investire, nel 2010, come persona fisica e poi attraverso il veicolo Boox, che prima di P101 è stata la mia piccola società di investimento con cui ho “ricominciato” la strada del venture capital dopo gli anni bui del post dot-com 2001. Poi sono arrivati altri investitori e nel giro di un anno e mezzo l’azienda è stata venduta alla Workwave Route Manager, di cui Antonio era azionista.
In tutto dalla fondazione della startup alla exit sono passati circa 4 anni. Un vero record soprattutto per l’epoca in cui è avvenuto e per il contesto italiano: come ci siete arrivati?
Antonio Perini: Nel 2008 mi ero licenziato dalla posizione di direttore commerciale in Mirial e avevo deciso di investire nel futuro: Viamente e Cortilia erano le due startup con cui avevamo iniziato con il collega di cui sopra. Il primo cliente è arrivato un anno e mezzo dopo, sia per Viamente e con Cortilia: e se hai qualche risultato da “portare in dote” a un VC, è più facile ottenere fondi. All’epoca sapevo ogni cosa di tecnologia ma niente di business e gestione aziendale. Quando Andrea mi ha annunciato che mi avrebbe dato 50mila euro per iniziare, mi ha posto come condizione il fatto che li investissi in comunicazione perché era più importante stimare la potenziale domanda di un servizio così innovativo che “far funzionare” l’azienda senza sapere se davvero in quel momento ci fosse un mercato.
Andrea Di Camillo: Investendo in pubblicità abbiamo stimato quante erano le aziende nel mondo che avevano bisogno della soluzione dietro a Viamente e quanto costava raggiungere ogni singolo, nuovo cliente. Ci eravamo dati una soglia: se entro un mese fossero arrivati 100 clienti nuovi l’azienda sarebbe stata pronta per ricevere nuovi investimenti. E avremmo potuto pensare al successivo step di crescita, all’ingresso di nuovi investitori.
E com’è andata?
Antonio Perini: Già con 10mila euro sono arrivati in un mese 150 nuovi clienti: era la fine del 2010. A marzo del 2011 siamo stati pronti a fare un nuovo round di raccolta producendo reali dati sul potenziale di mercato: informazione “comprata” con le campagne di comunicazione, “pagate” dai fondi di Andrea.
La lezione imparata è stata che non è la tecnologia che vince, non da sola. Quando abbiamo venduto abbiamo valorizzato 14 volte il capitale investito, (300mila euro tra l’investimento iniziale di Andrea e quello di altri investitori). Workwave ci ha acquisiti nell’agosto 2012 e sono andato in Usa a occuparmi del business. Abbiamo deciso di vendere perché il nostro principale concorrente era una società israelo-americana, Toa Technologies, che aveva raccolto 86 milioni di dollari di funding. Non potevamo competere se non da una prospettiva e con una dimensione diversa.
Andrea Di Camillo: Workwave aveva visto la nostra pubblicità online ed erano stati loro a cercare noi, scoprendo solo dopo che dietro una tecnologia così innovativa e sofisticata c’era una start-up italiana. Le dimensioni con cui ci confrontavamo erano molto diverse a quelle a cui il minuscolo mondo del VC italiano era abituato. Oggi il vento sta cambiando e nella “Zoom Economy” la vita sarà probabilmente facilitata per gli imprenditori italiani, che hanno spesso idee e talenti brillanti, ma non sono vicini a piazze della finanza con dimensioni e potenzialità di una certa portata. I distretti industriali, per esempio, non sono vicino a Milano: per questo hanno costruito le loro imprese con poco capitale di rischio e molto capitale di debito che porta alla situazione tipica della pmi italiana. Con lo sdoganamento della digitalizzazione, l’accesso alla finanza diventa illimitato e non solo dall’Italia sull’Italia ma anche cross border. Se c’è l’idea corretta, ovunque essa sia, non deve esserci nessun limite a mettere soldi in quell’idea.
Il resto della storia la prossima settimana su StartupItalia