Ugur Sahin e Özlem Türeci, due scienziati di origine turca, cresciuti e residenti in Germania, proprietari dell’azienda di biotecnologie in partner con Pfizer per la ricerca della cura al Coronavirus
L’annuncio della casa farmaceutica statunitense Pfizer e della società tedesca BioNTech sul successo del primo studio in fase 3 del vaccino per il Covid-19 ha destato comprensibilmente un generale entusiasmo. Dopo una settimana dalla somministrazione della seconda dose, si legge nel comunicato della Pfizer, il virus si è diffuso in modo maggiore nel gruppo dei non vaccinati rispetto a quello dei vaccinati, in modo da poter calcolare una protezione del 90% dal rischio di contagio. Si tratta dei risultati ottenuti sette giorni dopo il completamento della vaccinazione, su un totale di 94 casi positivi, numero esiguo rispetto ai 43mila volontari su cui il vaccino è in test.
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A condurre lo studio è uno scienziato di origine turca Ugur Sahin, emigrato in Germania da bambino. Specializzatosi nel tempo nella ricerca di vaccini a RNA messaggero, mRNA, ha fondato l’azienda di biotecnologie BioNTech nel 2008, insieme alla moglie Özlem Türeci. Türeci, anche lei ricercatrice e figlia di un immigrato turco, un medico di Istanbul trasferitosi in Germania negli anni Sessanta.
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Una vita per la scienza
Ugur Sahin e Özlem Türeci si conoscono all’università di Homburg e si innamorano l’uno dell’altro. Decidono di abbandonare la carriera accademica e dedicarsi alla ricerca medica indipendente, specializzandosi nel ramo dei vaccini a RNA, in particolare sugli studi per combattere il cancro. La coppia fonda due aziende, la Ganymed e, nel 2008, la BioNTech. In un’intervista riportata da Repubblica, Sahin spiega il perché della scelta di mettersi in proprio. “Se fai un progetto con una grande azienda farmaceutica, a volte scopri che la decisione di continuarlo non è basato sulla quantità della ricerca, ma su strategie d’affari”. A contribuire al successo dell’azienda è anche il terzo fondatore di BioNTech, Christopher Huber, professore emerito della Johannes-Gutenberg University.
La società, con sede a Mainz, acquista risonanza per i suoi studi e per l’esperienza maturata nell’ambito dei vaccini basati sull’RNA messaggero. Si tratta di una delle tecniche più valide, secondo la comunità scientifica, per realizzare un’inoculazione di massa nel minor tempo possibile. L’avanguardia della ricerca di Sahin, Türeci e Huber desta l’attenzione dei big del settore, da Novartis alla Fondazione di Bill e Melinda Gates, che nel corso degli anni decidono di investire decine di milioni in BioNTech.
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Difatti, come spiegato dal professor Enrico Bucci sul Foglio, l’eventuale efficacia dei vaccini a RNA sarebbe la prova di un aspetto fondamentale per la ricerca medico scientifica. Ovvero, testimonierebbe quanto una tecnologia totalmente nuova, basata sulla comprensione a livello molecolare di come funziona la vita e come si comporta la risposta immune, possa avere successo. In altre parole, osserva Bucci, se i vaccini basati sull’RNA, come quello di Pfizer e BioNTech, dovessero funzionare, significherebbe che gli scienziati sono riusciti a trasmettere il ‘messaggio’ corretto alle cellule del nostro organismo, parlando la loro lingua. Al fine di riuscire a produrre quello che occorre per addestrare il sistema immunitario contro un virus.
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La ricerca del vaccino per il Covid
Come scritto dal Financial Times, lo scorso gennaio, Sahin legge un articolo inerente al Coronavirus in Cina sulla rivista medica The Lancet. Lo scienziato intuisce la gravità e l’espolisività della situazione e allerta il CdA della sua azienda. “Questa volta è diverso”, afferma, questo virus non andrà e verrà come gli altri. E ha ragione. Da allora inizia la corsa alla cura per la malattia che da nove mesi sta affliggendo il mondo. BioNTech sceglie di dedicarsi alla ricerca del vaccino per il Covid-19 e sigla un accordo con la multinazionale statunitense Pfizer.
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Da allora, l’azienda tedesca si dedica senza sosta agli studi per il vaccino, fino all’annuncio di ieri, 9 novembre, sull’efficacia al 90% dei 94 casi osservati in fase tre della sperimentazione. Ora bisognerà attendere i dati approfonditi, inerenti principalmente a due aspetti. Innanzitutto, la percentuale di protezione conferita. Vale a dire la ripartizione dei casi di infezione tra vaccinati e non vaccinati, una volta che i due gruppi saranno stati esposti per più tempo, una volta che si sia raggiunto un maggior numero di infetti. Il secondo tema fondamentale sarà vagliare la durata dell’immunità sterilizzante conferita dagli anticorpi.