“Le donne devono farsi largo ancora in un mondo a taglia unica”. Ne parla Emanuela Grigliè autrice insieme a Guido Romeo del libro “Per soli uomini, Il maschilismo dei dati, dalla ricerca scientifica al design” edito da Codice
Fino al 1978 essere donna significava non poter essere un’astronauta della NASA, complici anche strane credenze per cui le mestruazioni (altro grande tabù) potevano avere un effetto letale nello spazio. Nel tempo però le cose sono cambiate (per fortuna) e l’agenzia statunitense ha fatto dell’inclusività la sua bandiera, promuovendo anche passeggiate spaziali al femminile. Senza fare i conti però con un mondo costruito fino a quel momento esclusivamente per uomini. La prima passeggiata “rosa” del marzo 2019 infatti, saltò alla vigilia del debutto proprio perché le tute spaziali erano disponibili solo in taglie da uomo. È solo un esempio questo dei tanti raccontati da Emanuela Griglié e Guido Romeo nel libro “Per soli uomini, Il maschilismo dei dati, dalla ricerca scientifica al design” edito da Codice, nato, come spiega l’autrice, per “proporre un nuovo modo per guardare alla questione della parità di genere, partendo dai numeri e dai dati”.
Emanuela Griglié: un mondo a “taglia unica”
“Perché – continua Griglié – nonostante gli esempi di meritatissime conquiste femminili in diversi campi, vediamo che le donne devono farsi largo ancora in un mondo a taglia unica, ovvero pensato e progettato per essere funzionale non per loro ma per un unico ‘utente’, il maschio standard”.
Il mondo infatti, come emerge chiaramente dalle pagine del libro, è fatto su misura per un uomo bianco di 70 kg alto alto 1,77 cm. Persino i bagni pubblici sono disegnati per lui, così come radio e microfoni ottimizzati per le voci più basse, tipicamente prodotte da un apparato vocale maschile, tanto da fare risultare quelle femminili stridule, nasali e distorte e quindi poco adatta per la radio.
Farmaci a misura d’uomo
Non va meglio per i farmaci, fino a non molto tempo fa sperimentati esclusivamente sugli uomini. Sia per paura delle conseguenze sui futuri feti, sia per la variabilità biologica della donna o della femmina, nel caso di animali da laboratorio, che rende i test più laboriosi e quindi costosi.
“È stato molto più semplice escludere le donne dagli studi clinici e poi vietare loro certe medicine in gravidanza” commenta Emanuela Griglié. “L’Agenzia europea per i medicinali (Ema) raccomanda di testare le medicine anche su campioni femminili” aggiunge. “Però non risolve davvero il problema, perché vale per i nuovi medicinali, ma non per quelli già in commercio e i loro generici. Così tra le altre cose, le donne hanno il 75% di probabilità in più di soffrire degli effetti collaterali di un medicinale. E non vale solo per i farmaci: il primo cuore completamente artificiale presentato dall’azienda francese Carmat nel 2014 era infatti disegnato per essere compatibile con l’86% dei pazienti maschi, ma con appena il 20% delle pazienti”.
“La sindrome di Yentl”
In generale però è tutta la medicina a essere maschilista. A denunciarlo per la prima volta fu Bernardine Healy, prima donna direttrice dei National Institutes of Health statunitensi quando nel 1991 parlò di una nuova malattia che uccideva la popolazione femminile: la sindrome di Yentl. “Yentl è la protagonista di un racconto del premio Nobel Isaac B. Singer, ripresa poi da un famoso film con Barbra Streisand, che deve rasarsi i capelli e vestirsi da uomo per poter studiare il Talmud, testo sacro dell’ebraismo” racconta Emanuela Griglié. “Healy prende in prestito il personaggio e si domanda: se Yentl ha dovuto fingersi maschio per studiare religione, una donna deve vestirsi da uomo per farsi curare?”.
La nascita della medicina di genere
Healy infatti da cardiologa si accorge che rispetto agli uomini, le donne vengono ricoverate meno e più raramente sono sottoposte a indagini diagnostiche come coronarografie, interventi e terapie (trombolisi, stent, bypass). Inoltre, come già ricordato, sono poco o per nulla rappresentate nelle sperimentazioni cliniche per introdurre nuovi farmaci e nuove tecnologie diagnostiche e terapeutiche. Così ne parla in un editoriale e nasce la medicina genere-specifica. “Da quel momento il concetto della specificità uomo-donna è sdoganato, o almeno se ne inizia a parlare” precisa Griglié. “Oggi, a quasi trent’anni dal j’accuse di Healy, la cardiologia è forse la branca che ha fatto maggiori progressi nel parlare di medicina genere-specifica. Resta, però, ancora molto da fare sia sul fronte della ricerca clinica sia su quello normativo, perché insieme alle donne, anche uomini e bambini pagano a caro prezzo simili lacune”.
In Italia molto si è fatto a questo proposito anche grazie al lavoro di Giovannella Baggio, professoressa dell’Università di Padova titolare della prima cattedra in Italia di medicina di genere. Da tre anni inoltre c’è una legge, la 3/2018, che all’art. 3 inserisce l’applicazione e la diffusione su tutto il territorio nazionale della medicina di genere e promuove una ricerca biomedica che tenga conto delle differenze uomo-donna. Una strada ulteriore per sostenere la medicina di genere, come suggerisce Griglié, potrebbe essere concedere un’estensione dei brevetti oltre ai tradizionali 15 anni per quei prodotti sviluppati con un approccio gender-specific, creando incentivi come già avviene per le malattie rare.
Il doppio soffitto di cristallo
Al di là degli esempi, il libro di Griglié e Romeo ruota tutto attorno a un concetto, quello del “doppio soffitto di cristallo”. Se il primo soffitto è quello ben noto che devono rompere le donne per arrivare alle posizioni apicali ricoperte generalmente dagli uomini, il secondo meno visibile e ben più complesso da smantellare è “l’impalcatura dei dati su cui è costruita la conoscenza che governa il mondo contemporaneo” spiega Griglié. “Nell’era dei big data è sempre più cruciale nel determinare non solo come vengono progettate le nostre auto e le nostre città, ma anche come funzionano numerosi farmaci salvavita e come si comportano i sistemi di intelligenza artificiale oggi sempre più pervasivi del nostro quotidiano perché, per esempio, influenzano le nostre chance di essere selezionate per un determinato lavoro o di avere un mutuo dalla banca. Ci piace ricordare inoltre come anche il dato, che viene percepito come neutro in realtà sia un costrutto sociale e culturale, quindi portare a suo volta di bias”. Se la statistica infatti è una scienza antica di secoli, l’idea di guardare distintamente ai generi è emersa solo negli ultimi decenni. L’Ocse lo ha fatto nel 2001 pubblicando Women and Men in Oecd Countries.
Media maschilisti: l’analisi di Emanuela Griglié
La presa di coscienza insomma c’è stata un po’ in tutti i settori, anche se alcuni soffrono più di altri. Come quello dell’informazione, in cui, a detta di Griglié, il maschilismo è maggiormente predominante. “Otto notizie su dieci parlano di uomini e quasi sempre le notizie che parlano di donne le ritraggono come vittime di qualche violenza. Le donne raramente raggiungono posizioni apicali nei media (e non solo in Italia) e quasi mai vengono interpellate come esperte qualificate (ricordiamo il recente caso di Propaganda Live)” conclude Emanuela Griglié, che cita infine l’intervista a Barbara Serra pubblicata nel libro: “Qualche anno fa ho contato gli ospiti della trasmissione RAI ‘Che tempo che fa’ da gennaio a giugno 2015: dei 208 ospiti, solo 25 erano donne, meno di un ottavo. Di queste, 20 provenivano dal mondo dello spettacolo: attrici, cantanti, modelle; mentre tra le altre 5 c’era l’astronauta Samantha Cristoforetti. Per la serie: se sei un uomo e vuoi andare in tv scrivi un libro, se sei una donna devi per lo meno andare nello spazio”.
Emanuela Grigliè sarà ospite della prossima diretta di Life del 29 settembre ore 15.00
In alto: foto Pexels – Josh Hild