Gli agricoltori sono vittime e causa dei cambiamenti climatici. Ma se adottassero pratiche conservative potrebbero diventare il primo strumento per sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera, a tutto vantaggio del clima. A fare entrare i farmer nel mercato dei carbon credits ci pensa la tecnologia
Il settore agroalimentare è responsabile, a livello globale, di circa un terzo delle emissioni di gas climalteranti (i cosiddetti Ghg). A dirlo è il Jrc – Joint research committee (autorità dell’Ue con sede ad Ispra) che ha preso in considerazione tutte le attività della filiera, partendo dall’agricoltura, fino alla dismissione in discarica, passando per la lavorazione delle materie prime e la commercializzazione del cibo.
È naturale dunque che il settore agroalimentare sia finito nel mirino di chi oggi vuole ridurre l’impatto ambientale dell’uomo. Tuttavia le attività agricole, che oggi concorrono all’emissione di Ghg, possono rappresentare un mezzo non solo per arrivare alla neutralità climatica, ma anche rappresentare uno strumento di riduzione dei gas presenti in atmosfera.
Il sequestro del carbonio
Quando infatti un vegetale cresce assorbe anidride carbonica dall’atmosfera, utilizzandola per la creazione dei propri tessuti. Quando poi la pianta viene raccolta e utilizzata i gas serra vengono riemessi in atmosfera. Tuttavia questo non si verifica se la biomassa (residui colturali e radici) restano nel suolo. E dunque attraverso pratiche colturali particolari è possibile per l’agricoltore arricchire il terreno di carbonio (attraverso i residui colturali) e intrappolare ciò che è stato sequestrato senza riemetterlo in atmosfera.
Questa attività, chiamata sequestro di carbonio, è al centro di un ampio movimento politico ed economico che promette di rivoluzionare il settore agricolo nei prossimi anni. Sia la nuova Pac – Politica agricola comune in Europa, che l’Amministrazione Biden negli Usa stanno infatti chiedendo agli agricoltori di giocare un ruolo sempre più importante nel ridurre le emissioni delle proprie attività e sequestrare CO2 nei suoi agricoli.
Sequestro di carbonio, un nuovo business per gli agricoltori
Il problema è come convincere gli agricoltori a cambiare il proprio lavoro, acquistando nuove attrezzature e gestendo i campi in maniera differente rispetto al passato. E qui si incontrano proficuamente innovazione tecnologica, ricerca scientifica, finanza, consumatori e corporate social responsability.
Oggi è infatti possibile stimare l’ammontare di anidride carbonica sottratta dall’atmosfera da un agricoltore e ‘imprigionata’ nel suolo dei propri campi. Il gas così stoccato viene valorizzato attraverso l’emissione di crediti di carbonio, dei titoli che poi l’agricoltore può rivendere in vario modo a chi desidera (obbligatoriamente o volontariamente) mitigare la propria impronta ambientale.
Microsoft ha ad esempio acquistato carbon credits da per 2 milioni di dollari da Land O’Lakes, una cooperativa di agricoltori statunitense, per mitigare la propria impronta ambientale. In questo modo i farmer vengono remunerati per il loro sforzo in favore del clima, si riducono i Ghg in atmosfera e le aziende assolvono ai propri doveri, siano essi di natura volontaria o legale.
Il ruolo del digitale nella difesa del clima
Ma come si può stimare il carbonio sequestrato nel suolo? Abbiamo parlato con Bruno Basso, professore alla Michigan State University e tra i fondatori di CiBO Technologies, una startup attiva nel settore della sostenibilità ambientale che è stata acquisita da Flagship Pioneering, fondo di investimento con sede a Cambridge (Massachusetts, Usa) che ha in portafoglio aziende come Moderna.
“Oggi ci sono differenti metodologie per calcolare la quantità di anidride carbonica sequestrata nel terreno. La più scientifica e trasferibile, che è poi quella che utilizza CiBO Technologies, si basa su una modellistica previsionale di processo che elabora i dati provenienti da immagini satellitari e quelli forniti da modello. La piattaforma digitale di CiBO Technologies è così in grado di stimare con un’elevata accuratezza la CO2 fissata dalle piante mediante il processo di fotosintesi e poi sequestrata nel suolo. Il carbonio nel terreno, oltre ad avere un impatto positivo sul clima, incrementa la resilienza delle colture agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, dovuti ad aumenti di temperatura, siccità o inondazioni”, spiega Basso. “Alla base di questi modelli previsionali c’è una profonda conoscenza del sistema suolo-pianta-atmosfera e tali modelli prevedono le interazioni tra le piante, il suolo, i microrganismi del terreno, il clima e la gestione della coltura da parte dell’uomo”.
Dunque l’agricoltore che per ragioni economiche o ideali vuole contribuire alla transizione verso un’economia ad impatto zero può registrarsi sulla piattaforma di CiBo, come su quella di altre società, come ad esempio Indigo Agriculture, inserire i propri dati e ricevere i crediti di carbonio (se effettivamente opera in maniera virtuosa). Tali crediti possono poi essere venduti sul mercato e generare quindi un profitto per l’agricoltore.
Il mercato dei Carbon credits
E qui le cose si complicano, perché essendo un settore nascente e non ancora regolamentato, quello dei carbon credits è caratterizzato da approcci differenti, riassumibili in tre modelli.
Il primo mercato è quello cosiddetto volontario, in cui ad operare sono tutti soggetti privati. Chi misura e certifica i sequestri di carbonio non ha un riconoscimento pubblico e i crediti possono essere acquistati dalle aziende che volontariamente vogliono ridurre la propria impronta ambientale (come nel caso di Microsoft). Quando ad esempio compriamo un volo spesso ci viene chiesto se vogliamo compensare le emissioni generate dal nostro viaggio: quello è il mercato volontario che a livello globale sta vivendo un vero e proprio boom.
C’è poi il cosiddetto modello californiano (Cap-and-Trade Program), che prevede il rilascio di carbon credits pubblici a quegli agricoltori che seguono un protocollo di coltivazione definito dal governo statale della California. A questi agricoltori vengono riconosciuti dei crediti che possono essere scambiati liberamente sul mercato e passare di mano in mano come delle azioni. Ad acquistarli sono quelle aziende che per legge devono compensare le proprie emissioni (come ad esempio le compagnie petrolifere). A questo mercato possono partecipare solo gli agricoltori che cambiano metodo di coltivazione, chi invece seguiva pratiche virtuose già dagli anni passati non può valorizzare i propri sforzi.
Il terzo modello è quello europeo, il più complesso e strutturato. Oggi in Europa le aziende particolarmente energivore devono sottostare all’Emission Trading System, un sistema di scambio di crediti di carbonio obbligatorio che ha come obiettivo finale quello di portare le aziende a ridurre le proprie missioni. Con la nuova Politica agricola comune, varata da poche settimane, gli agricoltori entreranno in questo sistema fornendo carbon credits alle aziende che sono obbligate ad acquistarli per poter continuare ad operare. Si tratta dunque di un modello pubblico-privato obbligatorio.
“In tutti questi sistemi la tecnologia gioca un ruolo fondamentale in quanto sarebbe praticamente ed economicamente impossibile effettuare dei campionamenti di suolo per andare ad individuare l’effettivo ammontare di anidride carbonica sequestrata”, spiega Basso. “Ma la tecnologia è fondamentale anche in tutta la gestione della compravendita dei crediti, in quanto rende possibile per l’agricoltore generare e vendere i propri carbon credits alle aziende che ne fanno richiesta, utilizzando una piattaforma semplice come CiBO Technologies”.