La spagnola Protocol Games ha tessuto un’avventura che strizza l’occhio ai capisaldi della letteratura da brivido, da Poe a Lovecraft fino a M.R. James, senza dimenticare, sul fronte videogame, i primi Resident Evil
È sicuramente un buon mix di stilemi del genere, letterario e videoludico, questo Song of Horror di cui oggi vi proponiamo la recensione. Ne costituiscono le fondamenta, per ammissione degli stessi sviluppatori (i ragazzi della startup innovativa spagnola Protocol Games) autori entrati nel mito come Poe, Lovecraft e M.R. James, ma soprattutto ci sono le saghe di Alone in the Dark e Resident Evil (in particolare, i primi). Un miscuglio che caratterizza Song of Horror come un survival horror molto tradizionale anche se, come scoprirete leggendo questa recensione, qualche novità qua e là non manca affatto…
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Che la spaventosa recensione di Song of Horror abbia inizio
Il gioco prende il via con la notizia della scomparsa del celebre scrittore Sebastian P. Husher, sparito apparentemente nel nulla assieme alla sua famiglia. Il suo editore, in attesa delle ultime bozze del romanzo, manda alla residenza degli Husher un povero stagista che avremo modo di controllare nei primi minuti di gioco. Non vogliamo dirvi troppo, ma anche il collaboratore non farà ritorno. E questo forse è l’aspetto che più ci ha convinti di Song of Horror: la presenza di più personaggi, tutti a loro modo in lotta, un po’ come accadeva nel vecchio Eternal Darkeness, contro una entità oscura che trascende il tempo, «la Presenza».
Se Song of Horror, come abbiamo già detto all’inizio di questa recensione, da un lato pare rifarsi ai classici non solo della letteratura dell’orrore, ma anche dei videogiochi che hanno reso appassionante il genere (Alone in the Dark, Resident Evil e, appunto, contiene pure qualcosa di Eternal Darkness), dall’altro gli sviluppatori iberici non hanno rinunciato a introdurre una caratteristica fissa di tutti i titoli contemporanei: l’entità che vi darà attivamente la caccia.
Descritta dal team come un avversario «controllato da un’intelligenza artificiale avanzata che reagisce attivamente alle tue azioni e decisioni», la Presenza in realtà non si aggira per davvero per le ambientazioni come fa, per esempio, Alcina Dimitrescu in Resident Evil Village, preferendo piombarci addosso all’improvviso se faremo troppo rumore o se, essenzialmente, trascorreremo troppo tempo in una medesima stanza. Questo, da un certo punto di vista, la rende ancora più incombente, ma da un altro pure più facilmente prevedibile.
Sentirete spesso porte che sbattono, oggetti che cadono, ma saprete che servono solo all’impianto scenico, perché non c’è un avversario che vi sta dando realmente e fisicamente la caccia, in quanto il mostro di fatto sa già dove siete. Insomma, il gioco “bara”, ma in fondo ci sta pure che questa malefica Presenza sia onnisciente. Il problema, piuttosto, è che una volta imparata la routine d’attacco della Presenza sarà sufficiente farsi trovare pronti (cioè tranquilli) ad accoglierla, premendo con tempismo i pulsanti richiesti per evitare che riesca a entrare nella stanza in cui vi siete rifugiati. Finché non si imparano le regole del gioco, Song of Horror mantiene davvero tanto fascino e saprà lasciarvi tesi come le proverbiali corde di violino, quando si nota la routine dell’IA nemica, invece, tutto si fa più compassato.
Comunque sia, uno dei punti a favore di questa produzione spagnola riguarda il fatto che bastino pochi errori, mentre tenterete di sfuggire alla Presenza, per morire. Non solo: quando un personaggio di Song of Horror muore, è per sempre. In tutto, ne controllerete 13, ciascuno col proprio carattere e caratteristiche: se li esaurirete tutti, dovrete riniziare daccapo. Fattore, questo, che rende soprattutto le ultime parti al cardiopalma. Negli ultimi capitoli gli sviluppatori hanno osato maggiormente e ciascun personaggio partirà da ali diverse del livello (che non sarà sempre la magione degli Husher: non vogliamo dirvi troppo ma sappiate che visiterete anche una abbazia e l’immancabile manicomio abbandonato).
Sospeso tra tradizione (Alone in the Dark, Resident Evil…) e innovazione, Song of Horror non sempre riesce a trovare una strada tutta sua, presentandosi spesso come una rassegna di cose già viste, seppur ricreate con la dovuta dovizia di particolari. Allo stesso modo, data la sua natura budget, il titolo resta sospeso tra ambientazioni curate ravvivate da ottimi effetti luce e modelli poligonali (i volti dei personaggi, in particolare) poco curati e tipicamente old style. Ma si tratta comunque di sbavature tutt’altro che gravi, perché se state cercando un buon esponente del genere, meno action del già citato RE Village e più improntato sulla riflessione e l’esplorazione, allora questo videogame iberico saprà soddisfarvi e intrattenervi (e spaventarsi) per diverse ore. Da acquistare.