Il modello startup è in salute e lo dimostrano le tante aziende che, anche in Italia, stanno portando avanti progetti di successo
Durante il fine settimana si è parlato molto di startup a partire da un lungo articolo di Riccardo Maggiolo, fondatore di Job Club, sull’Huffpost che potete leggere qui. L’articolo sostiene che si è prossimi a vedere fallire il modello startup. Lo stesso Mario Draghi l’avrebbe in qualche modo rivelato dicendo: “Tuteleremo tutti i lavoratori, ma non aspettatevi che salveremo tutte le aziende”. Personalmente, quando ho sentito Draghi pronunciare quelle parole, non ho pensato si riferisse alle startup.
Le startup sono già abbastanza abituate a cavarsela da sole, nel bene (quando diventano Unicorni o ricevono valutazioni milionarie vedi Yoox e Satispay) e nel male (quando falliscono e sono costrette a reiventarsi partendo da zero). Avevo pensato, al contrario, che ci si riferisse a quelle aziende che non investono in innovazione e tecnologia, che magari negli anni hanno pensato di fermarsi non dando spazio ai giovani e alle donne o a quelle aziende che semplicemente offrono servizi che non solo più utili e non hanno cambiato di conseguenza il proprio business. Aziende molto lontane da quel modello fatto di velocità, concretezza e capacità di evolversi rapidamente sempre dal basso tipico delle startup che conosciamo.
Partiamo da un presupposto: parlare del fallimento del mondo startup non è una notizia. Se ne parla da anni o almeno da quando in Italia è arrivata la stessa parola startup (senza trattino). Continuiamo da un altro presupposto: in Italia non c’è mai stata una Silicon Valley ne mai ci sarà. Inutile illudersi. Se ne parla, certo, la si evoca, sicuramente, ma poi ci si guarda in faccia e si vede la realtà. Se di anno in anno aumentano i finanziamenti in startup (nel 2020 sono stati 730 milioni di euro) se i governi cominciano a pensare di investirci (1 miliardo del fondo innovazione) questo non significa che il modello italiano possa essere paragonabile o possa sperare ad essere quello degli Stati Uniti. Il modello da seguire, se mai, potrebbe essere quello francese. E già si tratterebbe di un sogno ad occhi aperti per molti.
Questo significa che in Italia il modello startup è fallito? A nostro parere non è così e lo dimostrano le aziende che stanno crescendo in questi anni. Questo significa che lo storytelling sul mondo startup è troppo positivo? Anche su questo se ne potrebbe discutere. Forse se non ci fosse stato un certo modello di narrazione anche a volte edulcorato, se non ci fosse uno storytelling positivo quando si parla di aziende come Checkout Technologies (exit nel 2020), Satispay (93 milioni di finanziamento nel 2020), Cortilia (34 milioni di round pochi mesi fa) Sfera (ettari di azienda nella zona di Grosseto), forse a parlare di startup sarebbero ancora solo in 10 persone in tutta Italia. E invece oggi non si trova giornale nazionale o telegiornale, o radio che non dedichi uno spazio alle neo-imprese e all’innovazione. E il modello startup piace non solo perché ci sono belle storie di giovani (che ricordiamo danno lavoro a 60mila persone in Italia), ma anche perché è un modello che permette di velocizzare le attività lasciando perdere la burocrazia, di pensare a un’idea senza riflettere sulle gerarchie in azienda, di alzare la mano e proporre la propri idea anche quando si è l’ultimo arrivato.
Piace forse anche perché finalmente si è capito che le startup non solo quelle che creano app per prenotare l’ombrellone in spiaggia o scambiarsi vestiti online, il modello startup è quello che stanno usando le aziende americane come Moderna per creare i vaccini, o è quello che usa l’italiana Genenta per dare speranza a malati che devono lottare contro il cancro ogni giorno. Ancora è il modello che ha aiutato tanti insegnanti e studenti a fare scuola anche a distanza e a tanti italiani di ricevere la spesa a casa quando il lockdown non ci permetteva di uscire.
Se è vero che ad oggi 9 startup su dieci falliscono forse bisognerebbe ribaltare la prospettiva e pensare a fallimento come possibile primo passo verso un nuovo successo (il caso Zacconi in questo è esemplare) e poi guardare a quanto di buono ha fatto quell’unica startup su 10 che non è fallita e che, malgrado difficoltà enormi, è riuscita a crescere, fatturare, dare lavoro e creare un servizio utile per tanti.