L’artista giapponese Shinichi Kameoka collabora ora con piccole ma arrembanti startup
Se guardando EGGLIA Rebirth vi viene in mente il vecchio Legend of Mana, non stupitevi: la matita è quella, inconfondibile, di Shinichi Kameoka, che del gioco è pure il regista. Basta un suo schizzo e subito si rivivono gli anni d’oro del genere JRPG. Ma se continuando a guardare EGGLIA Rebirth vi dovesse sembrare di averlo già visto da qualche parte, è vero: il titolo non è altro che il porting di Egglia: Legend of the Redcap, di DMM Games Llc, oggi Brownies Inc.
Quella frittata alla base di EGGLIA Rebirth
Le meccaniche di gioco, però, probabilmente con disappunto da parte di coloro che son cresciuti a pane e SNES, si distanziano parecchio da Legend of Mana. Questo non vuol dire che si rivelino particolarmente innovative. Anzi, tanto la trama che mette in moto gli eventi di EGGLIA Rebirth (che vede il protagonista, Chabo, colpito dalla solita amnesia che gli impedisce di ricordarsi qualsiasi cosa sul suo passato, fortunatamente raccolto da quelli che diverranno i suoi compagni d’avventura: l’elfa Robin e la fatina Marigold), quanto il gameplay, sono piuttosto classici.
Quanto a quest’ultimo, il mondo di EGGLIA andrà componendosi a mano a mano che troverete delle uova magiche, che dovranno essere schiuse (o rotte?) per far germogliare nuove parti della mappa. Ciascuna parte è un insieme di livelli da esplorare lungo una griglia, a colpi di dadi. Su queste scacchiere si raccolgono oggetti demolendo parti dello scenario e aprendo scrigni, si consente alla trama di proseguire (purtroppo le sequenze di intermezzo, sotto forma di dialoghi un po’ demenziali, sono tante e rallentano parecchio l’azione) e ovviamente ci si scontra coi nemici.
A casa ci sarà poi ad attendervi il vostro villaggio, che potrà espandersi non solo grazie agli oggetti rinvenuti esplorando il mondo, ma anche con nuovi abitanti: tutti PNG folli e stralunati (l’aloe parlante Alovara sarà il primo) incontrati durante l’avventura potranno essere invitati e usati per animare le vie del borgo. Lo stile grafico è a dir poco delizioso. La matita del maestro Kameoka è del resto inconfondibile: scivola su carta con maestria e per fortuna i poligoni non rubano magia ai suoi magnifici artwork (vedi sotto).
Scorre decisamente meno il gameplay, troppo ancorato al passato e, comunque, troppo ripetitivo e superficiale: la provenienza da smartphone si legge costantemente. E se i primi stage sono solo un lungo tutorial e le missioni un pretesto per comprendere le varie sfaccettature, nemmeno progredendo con l’avventura si avverte mai la sensazione di trovarsi per le mani qualcosa di complesso ed elaborato, come i bei vecchi RPG dell’era SNES. Come Legend of Mana, appunto. Un titolo mordi e fuggi, pensato per essere giocato fuori casa, valido per una partita sul bus, o mentre si aspetta il proprio turno dal barbiere, ma nulla più.