La startup romena Texelworks debutta nel mondo dei videogiochi con un FPS fantascientifico. Non tutto, però, è andato come sperato
Prendete lo scanzonato Serious Sam, fondetelo con XIII (a proposito, letta la nostra recensione di XIII Remake per Switch?), metteteci dentro qualche superpotere stile Control (qui la recensione di Control Ultimate Edition) e Crysis (qui trovate invece la recensione di Crysis Remastered Trilogy), inseritici un drone che salterà in aria in meno di 2 giorni e avrete la vaga idea di cos’è 41 Hours, Fps dalle tinte fantascientifiche e dal sapore fumetto che porta in dote, oltre al solito arsenale militare, anche diversi poteri sovrannaturali, come la possibilità di distorcere il tempo e lo spazio.
41 Hours o ci si annoia prima?
Soprassedendo, come al solito, sulla trama del gioco (un po’ perché non è nostra abitudine soffermarci troppo sui canovacci, un po’ perché questa volta abbiamo realmente fatto difficoltà a comprenderla, essendo a dir poco delirante), 41 Hours è uno sparatutto in prima persona che non esce troppo dai ranghi del genere, proponendo appunto come sola variante la possibilità di sfruttare tramite croce direzionale poteri che vanno dall’invisibilità alla telecinesi, passando per la manipolazione del tempo.
L’influsso di Crysis sull’immaginario del gioco di Texelworks è innegabile, soprattutto nelle ambientazioni urbane e nella realizzazione dei poteri, anche a livello estetico. I due titoli, però, restano incomparabili: quello recensito oggi è infatti il risultato degli sforzi di una startup alle prese con un progetto budget, l’altro per anni ha settato i più alti livelli grafici in campo FPS.
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In più, mentre i superpoteri erano ciò che differenziava il titolo Crytek da tutti gli altri, qui sono ciò che rendono 41 Hours un vero e proprio supplizio: in diversi punti avrete la necessità, perché lo impone lo script, di usare la telecinesi per ammucchiare oggetti dello scenario in modo tale da crearvi un passaggio (leggi: il classico ponte per superare l’immancabile baratro), ma questa tipologia di eventi, oltre a ripetersi all’infinito ed essere forzata in un gioco che presenta mappe ampie, aperte e liberamente esplorabili, mette in evidenza tutti i limiti della gestione della fisica (potrete sollevare solo gli oggetti stabiliti dal gioco, altri sono inamovibili) e del sistema di controllo (per creare qualcosa di stabile diverrete matti).
Se a questo si aggiunge che le mappe, per quanto esteticamente belle e assai vaste, siano piuttosto desolate e desolanti, concentrando i nemici solo in alcuni punti e abbondando col riciclo degli asset in tutti gli altri, si comprende perché 41 Hours non possa lasciare soddisfatti, tanto più se giocato su una console potente come PlayStation 5. Ed è un peccato, perché il titolo di debutto di questa startup innovativa ha i suoi punti di forza (tante missioni, circa 20 ore di giocato, perfino un rudimentale albero delle abilità del nostro alter ego), ma paga lo scotto dell’inesperienza di chi lo ha sviluppato e della sua natura budget. Da prendere in caso di prezzi d’occasione.