La regina dei videogiochi racing è rimasta a corto di benzina?
Qualche generazione di console fa, puntualmente sotto ogni Natale, oltre al Fifa (letta la nostra recensione di Fifa 23?) e al Medal of Honor di turno, EA sfoderava un nuovo capitolo di Need for Speed. La serie racing, tutta bolidi fiammanti e derapate, dal capitolo Underground, apice che la saga ha poche volte ri-toccato negli anni successivi, si è sempre contraddistinta per l’aspetto tamarro, farsesco e stereotipato, conquistando milioni di videogiocatori. Negli anni, EA ha dovuto rivedere i propri piani finanziari e anche NFS ne ha fatto le spese. L’ultimo esponente è uscito perfino prima della pandemia, perciò Need for Speed Unbound porta con sé una pressione psicologica mica da ridere: far ritornare la serie in vetta dopo una luuuuuunga sosta ai box…
Cosa succede in Criterion dopo Need for Speed Unbound
Non sappiamo se sia stata proprio la pressione psicologica o la qualità del prodotto, fatto sta che, subito dopo la pubblicazione di Need for Speed Unbound, Criterion ha perso diversi veterani: dal vicepresidente e general manager Matt Webster, che ha lasciato il team dopo ben ventitré anni, al capo della divisione studio development, Alan McDairmant, nella software house nota principalmente per Burnout da diciassette anni, passando per il senior technical director Andrei Shires, in azienda da sedici anni, l’executive producer Pete Lake, che è entrato a far parte di Criterion nell’ormai lontano 1996 e l’head of content Steve Uphill, che ha passato gli ultimi dieci anni in quegli uffici. Il gruppetto di vecchie glorie nega che l’addio a Criterion sia collegato al gioco, ma la concomitanza col debutto e la qualità altalenante dello stesso lasciano il sospetto in strada.
Già, perché Need for Speed Unbound non è certo quel reboot (peraltro l’ennesimo) che ci saremmo attesi. La ricetta delle corse clandestine per una città statunitese che si lascia percorrere ad alta velocità e distruggere l’arredo urbano passivamente, con qualche sporadico intervento risolutivo delle forze dell’ordine, in fin dei conti è sempre la stessa. E salvo che non abbiate vissuto negli ultimi 20 anni sulla Luna, difficilmente saprà sorprendervi. Anche perché Need for Speed Unbound, oltre a rifarsi troppo ai canoni della saga, ricicla pure all’infinito i suoi stessi contenuti, abbondando di corse e sfide tutte uguali tra loro, senza variazioni di sorta.
Torna l’alternarsi del dì e della notte, ma si esaurisce a livello ludico nel fatto che le competizioni siano più remunerative al calar del sole, fatto, questo, che rende le ore di luce particolarmente inutili. Quanto alla novità di questa nuova edizione, ovvero le scommesse, per qualche strano motivo rappresentano solo una percentuale minima rispetto al premio in denaro che si ottiene vincendo le competizioni, perciò non spostano affatto il baricentro verso tali innovazioni ludiche e l’intelaiatura delle competizioni resta inevitabilmente inalterata.
Se a tutto ciò si aggiunge che Lakeshore, la Chicago di fantasia nella quale gareggeremo, non sfonda come dovrebbe e che di fatto la progressione dei giorni si traduce in un ‘eterno 2 febbraio’ (i fan di Ricomincio da Capo capiranno), si intuisce perché sia difficile consigliare il gioco a chi non intende sfruttare il multiplayer.
Dal tramonto all’alba, tutti i santi giorni
Sì, perché in singolo dal lunedì al venerdì il giocatore ha come solo obiettivo quello di disputare competizioni per guadagnare il denaro necessario per gli upgrade, con la consapevolezza che ciascuna sfida farà salire il livello di allerta della polizia, fattore, questo, che renderà più insidiosi i piedipiatti durante gli inseguimenti. Nel caso in cui si venga fermati dalle forze dell’ordine si perderanno i guadagni non salvati, che potranno invece essere messi al sicuro tornando al proprio garage e saltando al giorno successivo.
Operazione che, in modo molto poco credibile, riazzera per magia il livello di allerta. Questa meccanica, di per sé poco entusiasmante, si ripete per tutta la settimana, fino al sabato, quando si svolgono le qualifiche: sono tre, per altrettante settimane, dopodiché alla quarta si accede alla competizione de La Grand, che è poi l’obiettivo del nostro alter ego.
Gli aspetti più riusciti sono quelli che da sempre contraddistinguono il franchise, vale a dire una attenzione smodata per tutti gli elementi del tuning (visto che il gioco non regala molti soldi, dovrete sudarvi ogni modifica) e una giocabilità arcade che, benché azzeri la differenza tra le varie vetture (scordatevi che trazione anteriore, posteriore, integrale o peso della vettura, pad alla mano, cambino realmente qualcosa), rende il titolo immediato e divertente, accessibile tanto al cuginetto di otto anni quanto al fratellone di 40 tornato a casa per il Natale. Per questo, il multiplayer del titolo EA è l’opzione ideale da sfoderare proprio in questo periodo di riunioni col parentado…