“In passato avevo corteggiato la scrittura creativa, ma lei mi ha sempre respinto”. Giovane giornalista per SkyTg24, Linkiesta.it e Il Corriere della Sera edizione di Bergamo, Matteo Castellucci ha creato il romanzo durante una “pausa lavorativa”. Ecco com’è andata
Una spia che ne combina di tutti i colori. Ok, non sarà l’idea più innovativa del mondo, dato che negli anni i cloni comici di James Bond non sono certo mancati e tra questi merita di essere annoverato almeno l’agente segreto interpretato da Rowan Atkinson, alias Mister Bean. Ma il romanzo di Matteo Castellucci, Flop Secret (Paesi Edizioni), riesce comunque a distinguersi dalla massa, sia perché contiene quell’attenzione, un po’ morbosa, rivolta a fatti di cronaca e avvenimenti geopolitici che solo i giornalisti coltivano, sia in quanto… be’, divertente lo è davvero.
Il nostro Castellucci, come è emerso dalla chiacchierata che ritrovate subito sotto, ha scorte di ironia cui attingere, anche per far fronte alle incognite e alle avversità che la nostra professione talvolta riserva. Anche per questo parte dell’intervista è stata dirottata verso il mondo del giornalismo, nel tentativo di dare un consiglio ai giovani precari e a coloro che, ancora più giovani, vorrebbero intraprendere la carriera. “Il giornalismo – ci ha detto Matteo Castellucci -, è una vocazione verso cui vale la pena sviluppare una sindrome di Stoccolma. A volte è totalizzante nel senso sbagliato, altre incoraggia la finanza creativa”.
Intervista all’autore di Flop Secret
Come nasce l’idea di Flop Secret?
Non è un’esagerazione dire che il libro è stato scritto per un concorso letterario di Paesi edizioni. In passato avevo corteggiato la scrittura creativa, ma lei mi ha sempre respinto: mi fermavo dopo poche facciate di Word. Ha aiutato la scadenza prefissata del concorso, insieme a un periodo di pausa lavorativa (suona meglio di com’è) che mi ha lasciato più tempo del solito da riempire, oltre a un certo bisogno di disintossicarmi dal giornalismo, anche se l’attualità ha trovato lo stesso il modo di infiltrarsi nella narrazione, man mano che la costruivo.
E come mai hai deciso di caratterizzare la spy story con l’ironia?
Sono un appassionato del genere spionistico, però non sarei mai riuscito a scrivere una spy story convenzionale, tutta adrenalina e testosterone. Il filtro dell’umorismo non è stato un ripiego, ma il contrario: un modo – non necessariamente meno cruento – di provare a svecchiare certi stilemi e, soprattutto, strappare un sorriso a chi ha avuto o avrà la pazienza di leggerlo.
“Il giornalismo per noi giovani va a stagioni, un po’ come il calcio: alcune annate lotti per non retrocedere, ogni tanto ti illudi di centrare un miracolo sportivo, il mercato non va quasi mai come vorresti”
Da Panorama Flop Secret è stato descritto come un libro che ha per protagonista un “Fantozzi dell’Intelligence”: quali opere, umoristiche o meno, pensi ti abbiano influenzato maggiormente nella creazione del personaggio e del contesto in cui si muove?
La cornice spionistica è ispirata a James Bond, ai libri di Fleming tanto quanto alla saga dei film, e diciamo che vorrebbe essere “British” anche l’ironia del libro. Fantozzi ha raccontato il “Paese reale” meglio di qualsiasi trattato di sociologia e anche Francesco Barbarossa, il protagonista, si avvicina un po’ all’italiano tipo, al di là degli stereotipi. Adoro l’umorismo surreale dei Monty Python e, in Italia, di Stefano Benni. Agli editori il testo ha ricordato Hollywood Party di Peter Sellers, ma continuo a mentire quando mi chiedono se l’ho visto. C’è un aforisma, forse contraffatto, di Picasso sul fatto che gli artisti mediocri copiano mentre “il genio” ruba. Credo di essere un cleptomane involontario, dai cinepanettoni e la stand-up comedy al vissuto di tutti i giorni.
Qual è l’aspetto di Flop Secret che ti inorgoglisce maggiormente?
Beh… il fatto che sia stato pubblicato! La copertina, realizzata da Emanuele Ragnisco, poi è davvero spettacolare.
C’è invece qualcosa che avresti voluto cambiare?
Forse smusserei un paio di battute, o vorrei aggiungerne qualcuna che mi è venuta in mente dopo la stampa, ma mi sono affezionato alla storia e ai personaggi, abbastanza da stupirmi durante la rilettura. Spero solo che loro non prendano le distanze da me.
Nella prefazione lasci intuire, con l’ironia che caratterizza poi l’intero libro, le difficoltà della vita del giovane giornalista: cosa ci puoi raccontare in merito?
Il precariato, anche esistenziale, è lo stesso della prefazione. Il giornalismo, però, è una vocazione verso cui vale la pena sviluppare una sindrome di Stoccolma. A volte è totalizzante nel senso sbagliato, altre incoraggia la finanza creativa. Ogni categoria professionale rivendica di fare “il lavoro più bello del mondo”, sicuramente è uno dei meno noiosi. Poi va a stagioni, un po’ come il calcio: alcune annate lotti per non retrocedere, ogni tanto ti illudi di centrare un miracolo sportivo, il mercato non va quasi mai come vorresti, specie se sei a parametro zero. Lasciando perdere le analogie spericolate, è un settore un po’ proletarizzato, ma quella dei miei coetanei (se escludiamo il sottoscritto) avrebbe il potenziale per essere davvero “una generazione di fenomeni”. Il punto è lasciarli scendere in campo.
E quali consigli ti sentiresti di dare a chi oggi, finita l’università, si avvia alla professione? Frequentare un master? Intasare con mail le caselle postali delle redazioni per iniziare il cd. praticantato? Cambiare decisamente strada e fare qualcosa di meglio retribuito?
Consiglierei capitalizzare gli anni dell’università. Se possibile, cominciando a collaborare con le realtà della propria città, soprattutto se locali sono il miglior battesimo di fuoco. Spesso i corsi di laurea prevedono uno stage obbligatorio: può essere una buona occasione per mettere piede la prima volta in una redazione e farsi i proverbiali contatti. Il networking è la meritocrazia che può permettersi il nostro sistema fondato sulle conoscenze, che sono qualcosa di diverso e più complesso dalle raccomandazioni. È impressionante la quantità di risposte che si possono ricevere scrivendo agli indirizzi mail [email protected], ma spesso sono frasi motivazionali. Non servono le paternali e non vorrei correre il rischio di scadere nello stesso sottogenere con le mie dritte, anche perché il copia-incolla non funziona per queste cose. In generale, è un po’ un trade-off tra la propria tenacia e il sadomasochismo. Non lasciate che vinca il sadomasochismo.