“Emergency è riuscita a rendere protagonisti i giovani nella cinematografia, riconosciuta come strumento di valore”, ha dichiarato Claudio Gubitosi, founder del Giffoni Film Festival, a BeShort
Raccontare i brand attraverso il linguaggio cinematografico non è semplice ma è il futuro. BeShort è il primo Festival dedicato ai branded entertainment short movie che ha premiato Emergency con il Best Brand Storytelling Award. “Emergency è riuscita a rendere protagonisti i giovani nella cinematografia, riconosciuta come strumento di valore”, ha dichiarato Claudio Gubitosi, founder del Giffoni Film Festival. Lanciato da OBE, in collaborazione con Giffoni Innovation Hub e con la media partnership di StartupItalia, nello spazio Anteo di CityLife, a Milano, si è tenuto un lungo incontro che ha visto alternarsi voci e rappresentanti di alcuni storici brand del made in Italy; registi, sceneggiatori, innovatori e creativi che ruotano attorno al mondo dell’innovazione nella comunicazione del brand attraverso il linguaggio cinematografico. A moderare gli incontri i giornalisti Francesco Oggiano e Giampaolo Colletti.
“Facciamo storytelling che oggi non è più solo legato al brand ma ai valori”: con queste parole Luca Ruju, General Manager Giffoni Innovation Hub, ha aperto l’incontro. “Oggi il branded entertainment rappresenta una grande opportunità ma presenta diversi aspetti che ancora devono fiorire. Dobbiamo capire dove questa grande opportunità si riesce a mettere a terra”, ha commentato Laura Corbetta, presidente di OBE. Un settore, quello del branding entertainment, che presenta numerose sfaccettature. “Siamo in un regno di mezzo dove non siamo né quelli di prima né quelli del domani – ha commentato Claudio Gubitosi, founder del Giffoni Film Festival – Dobbiamo anticipare i linguaggi che ci saranno tra 20 anni. A settembre/ottobre 2023 a Milano si terrà #Giffoniquantestorie: sarà un’altra nuova occasione per mettere tanti mondi diversi a confronto. Attualmente quello che noto è una forte distanza tra l’attualità e il futuro. Nella cinematografia c’è tanto passato che, a noi di Giffoni, non piace”.
“Siamo in un regno di mezzo dove non siamo né quelli di prima né quelli del domani”
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Perché un brand dovrebbe costruire uno short film?
Parlando di corti, la domanda sorge spontanea: Perché un brand dovrebbe comunicare attraverso uno short film? Ha risposto Anna Vitiello, direttore scientifico OBE e direttore OBE Academy: «La risposta è duplice: per comunicare i valori e per operare un posizionamento del brand. Oggi, rispetto a qualche anno fa, anche il prodotto diventa centrale; non si parla soltanto di valori e di posizionamento ma anche di prodotto. In questo senso, è interessante comprendere l’evoluzione della filiera, che sta consentendo ai corti di abbracciare obiettivi diversi, allargare i confini e pervadere momenti più tecnici e più istituzionali. I brand decidono anche di usare determinati momenti storici per parlare di se stessi. Proprio la storia è l’elemento che più impatta sulla brand consideration. In questo senso, “intensità” fa rima con “viralità”. Ad esempio, BMW ha deciso di narrare la sua storia nell’anniversario della caduta del muro di Berlino. Altro trend è la collaborazione e la competition. La serialità piace anche ai brand e, così, anche i sequel divengono attrattivi e non esiste una “durata ideale”. C’è un’evoluzione nella cinematografia con registi come Ozpetek che si è prestato per realizzare un corto per Mediolanum; Muccino per Azimut; Sorginelli per Emergency; Placido per Deloitte. I brand diventano produttori e raccontano delle storie. Il mistero irrisolto è quello che chiamiamo “il paradosso dei corti”; si deve spesso avere a disposizione un buon budget anche se, poi, si fa un corto utilizzo di questa produzione: spesso la copertura è limitata e la distribuzione ridotta».
“I brand diventano produttori e raccontano delle storie”
Ma quanto questi corti sono davvero efficaci? “Anzitutto si devono identificare i KPI. I protagonisti devono essere presenti e devono funzionare; lo storytelling deve essere efficace, legato alla storia, all’ambientazione – afferma Antonio Filoni, Partner, Head of Innovation and Digital Offering BVA Doxa – Tra i KPI che abbiamo identificato ci sono: appeal; relevance; catching; stucking; continuity; wom ability. Il brand deve sapersi distinguere, avere una coerenza valoriale; una giusta presenza; la capacità di scoprire e di intrattenere. Su una ricerca che abbiamo condotto sui brand, guardando ai cortometraggi, nel 74% dei casi abbiamo notato una performance positiva. Ma l’efficacia non è l’unica regola: solo il 43% dei video ha superato l’esame, infatti, l’analisi KPI. Possiamo lavorare su tanti stati d’animo; non bisogna soltanto divertire; bisogna soltanto stare attenti. L’elemento cardine da evitare è la noia”.
“L’elemento cardine da evitare è la noia”
Tra i corti di successo è stata presentata la storia di Ugo Mutti, l’inventore dei tubetti di concentrato di pomodoro. “Ugo Mutti era un personaggio particolare che nel corto abbiamo dipinto in modo romanzato ma era molto esuberante, pieno di idee e aveva avuto l’idea di mettere il concentrato di pomodoro in un tubetto, considerato un packaging non alimentare e aveva avuto l’idea di chiuderlo con un ditale. E’ stata dura ricostruire la storia e per farlo abbiamo parlato a lungo con Marcello Mutti, che oggi ha 95 anni”, commenta Marcello Gelo, Chief Marketing Officer & Sauces Business Unit Director di Mutti.
L’evoluzione dell’audiovisivo nella storia dei brand
“E’ cambiata la modalità con la quale la gente guarda ai contenuti; oggi l’audience è importante come il target. Un format da 30 secondi lo riguardi; il corto è fatto per essere tramandato a qualcuno; diventa come una serie TV, un cinema”, afferma Karim Bartoletti, partner, Managing Director ed Executive Producer di Indiana Production. Tra gli ospiti, da remoto è intervenuto anche il regista Paolo Genovese: “Sono molto legato al mezzo di comunicazione pubblicitario; spesso accanto al solito spot TV mi chiedono di realizzare storie di brand. Gli short sui brand ti permettono di inserire il prodotto in modo intelligente con la possibilità di creare un’identificazione; è un altro tipo di racconto con regole drammaturgiche diverse. Non perdiamo, però, di vista il fatto che stiamo facendo pubblicità e stiamo raccontando una storia ma l’obiettivo è sempre quello di comunicare un prodotto; un’offerta o riposizionare un brand – commenta il regista – Allo stesso tempo, l’utente non deve avere la sensazione di seguire una pubblicità ma una storia. Interessanti sono anche gli short che passano attraverso i canali social per trasmettere messaggi importanti come sulla violenza sulle donne o su malattie come il morbo di Kron. Hanno il potere di smuovere qualcosa nel pubblico per cambiare e modificare la percezione del problema”.
Corti, social e GenZ: le nuove frontiere della comunicazione dei brand
Proprio i social rappresentano la nuova frontiera nella comunicazione dei brand, come ha dichiarato anche il regista Sidney Sibilia: “Si andrà, sempre più, verso contenuti social”. Messaggi che servono anche a sensibilizzare soprattutto le nuove generazioni. “La forza del corto sta anche nel riuscire ad attirare l’attenzione su tematiche sociali e ambientali, come la sostenibilità, l’economia circolare, l’inclusione”, ha aggiunto il regista e sceneggiatore Manlio Castagna. “Scegliere il settore educational nella comunicazione non è semplice; l’idea è trovare qualcosa per emozionare e raccontare quello che vogliamo trasmettere partendo proprio dalle giovani generazioni”, ha commentato Arturo Bertoldi, responsabile di Edu Iren. “Il corto fa da amplificatore, ti racconta una storia e ti ci porta in mezzo. La storia è fondamentale; è il cuore di tutto ed è finalizzata a lavorare su valori alti che trasportano lo spettatore nella quotidianità, facendogli capire che ha un ruolo fondamentale e può fare tantissimo tutti i giorni”, ha aggiunto Luca Brivio, direttore Comunicazione di Conai. Proprio ai giovani sono indirizzate le campagne di comunicazione. “Emergency ha utilizzato il linguaggio audiovisivo per comunicare soprattutto ai giovani: dalle graphic novel alla realtà virtuale – ha commentato Michela Greco – Da qualche anno abbiamo un progetto legato al cinema che ha creato un circuito virtuoso per ragazzi dai 16 ai 25 anni. Abbiamo pensato ai ragazzi come creatori più che come fruitori e gli abbiamo chiesto di raccontare tante realtà con diversi racconti che sono anche stati selezionati da Rai Cinema, nella logica della co-creazione”.
“Oggi la GenZ ha la responsabilità del futuro, la capacità di influenzare le vecchie generazioni e il potere di costruire il futuro di coloro che ancora devono venire. Sui costi, tutto è relativo: si possono fare corti costosissimi ma anche girarli semplicemente con il cellulare”, spiega Carlotta Ventura, Chief Communications, Sustainability and Regional Affairs Officer A2A.
Media, informazione, pubblicità e brand
Tra gli ospiti intervenuti durante l’ultimo panel di BeShort: Laura D’Ausilio, responsabile Iniziative Speciali di Rai Pubblicità; Viviana Pellegrini, Entertainment & Sport Brand Solution Director di Sky Italia; Andrea David Rizzi, Head of Media & Sports Partnerships di YouTube; Alessandro Maggioni, Managing Director DCA e Alex Loprieno, Founder & CEO di WeShort, che si sono confrontati su come affrontano la comunicazione dei brand sui propri canali. “Se si lavora sul content partendo dall’obiettivo del brand si facilita la realizzazione e la distribuzione del contenuto. La chiave è capire prima su cosa il brand sta lavorando e cosa vuole comunicare per metterlo in comunicazione con l’attore principale del content – commenta Laura D’Ausilio – Molte volte ci sono contenuti che raccontano una storia e sono più diretti rispetto a quelli dove si vede spesso il prodotto. Il cortometraggio come valore ha un ciclo di vita molto più lungo. In questo senso, però, a noi non arrivano tanti corti”.
Quali consigli dare, dunque, ai brand interessati a promuovere contenuti sui media?
“Pensare a un prodotto e conoscere bene i canali dove distribuirlo è il consiglio che mi sento di dare alle aziende – commenta Viviana Pellegrini – Un altro spunto potrebbe essere sarebbe quello di poter lavorare da subito a quattro mani su quel contenuto. Se non è forzato, per noi il brand è un valore aggiunto. Produrre contenuti all’altezza del brand x la TV e condividere gli stessi obiettivi fa in modo che si vada nella stessa direzione”
“Oggi i dati sono centrali, così come la velocità di reazione e si parla più di prodotto che di storytelling – afferma Andrea David Rizzi – Si lavora di più sulla piattaforma che include anche broadcaster. In questo senso, la coerenza e l’autenticità del messaggio fanno la differenza”.
“Quest’anno, al cinema, abbiamo lanciato un solo cortometraggio. E’ un peccato che oggi nessuno pensi al cinema come canale di comunicazione anche per un corto; il cinema amplifica la possibilità di stare tra tante persone – ha commentato Alessandro Maggioni – E’ uno strumento che permette di parlare con un pubblico che usufruisce del grande schermo ma viene identificato come un canale che ha pochi contatti. Si tenga presente che le ricerche ci dicono che i brand investono per il 50% in pubblicità televisive e sono lo 0.5% pensa al cinema”.
“I brand investono per il 50% in pubblicità televisive e sono lo 0.5% pensa al cinema”
“L’obiettivo deve essere quello di rendere il corto un prodotto di valore dando più vantaggio alle aziende che ci investono; raccontare una storia che porta con sé il brand con un pubblico internazionale e dialogare con i clienti. Le aziende non dovrebbero vedere il branded short come sezione a sé stante, ma come un mondo dal quale attingere storie. Questo è il consiglio che voglio dare ai brand”, conclude Alex Loprieno.