A giorni, il 19 gennaio, esce Anche io, il film tratto dal best seller in cui le giornaliste del NewYorkTimes Jodi Kantor e Megan Twohey raccontano l’inchiesta (vincitrice del premio Pulitzer) che ha scoperchiato lo scandalo delle molestie sessuali a Hollywood, a partire da quelle che hanno poi fatto processare il potente Harvey Weinstein (le due giornaliste sono interpretate da Zoe Kazan e Carey Mulligan, in foto). È un film sulle donne che hanno il coraggio di abbattere muri – lo ha definito la regista Maria Schrader – e su un’inchiesta che ha cambiato la società, finendo per alimentare un movimento, quello del MeToo, che in pochi mesi ha trasformato la violenza di genere da fatto privato a fenomeno sociale.
«Nell’autunno del 2017 si è rotta una diga, è stato qualcosa di veramente rivoluzionario. Oggi c’è una resa dei conti sociale, globale. Abbiamo riformulato il concetto di molestie sessuali e nessuna voce può più essere cancellata. Sembra passato un secolo e questo film arriva al momento giusto, anche se è una bizzarra coincidenza che esca mentre Weinstein affronta il suo secondo processo», dice la regista al quotidiano La Repubblica.
“Dobbiamo liberarci da vergogna e paura”
Il suo non è, però, solo un thriller giornalistico, ma un’investigazione ad ampio raggio dentro le biografie delle vittime che mette a fuoco la frustrazione, la paura, la solitudine che si vive quando si è costrette a subire e a tacere gli abusi dei tanti Weinstein, fuori e dentro i set cinematografici, ma è anche un’indagine che misura quanto sia ampia e tenace l’impunità che li protegge.
«Attraverso le storie delle vittime capiamo cosa significa, a vent’anni, quando si ha il diritto di realizzarsi in un lavoro che si ama, vedersi distruggere i sogni in modo brutale. Non servivano immagini, aggiungere violenza o soffermarsi sull’autore delle violenze. Per le donne è stato un momento di condivisione. Tutte dobbiamo liberarci di vergogna e paura». E però, chiude la regista, le cose sono sì cambiate, ma non abbastanza.
“Attraverso le storie delle vittime capiamo cosa significa, a vent’anni, quando si ha il diritto di realizzarsi in un lavoro che si ama, vedersi distruggere i sogni in modo brutale”
“Anche io” (foto sopra e in alto)
I Weinstein d’Italia
In questi giorni nel nostro Paese molte attrici, alcune anche molto famose, stanno raccontando sui media gli abusi subiti dai Weinstein d’Italia, attraverso racconti che risultano uno a uno orribili e scioccanti. Difficile credere che nell’ambiente non li si conosca già e non si conosca questa concezione dominante del potere come disponibilità sull’esistenza delle persone, in primissimo luogo le donne, e l’enorme diffusione dei ricatti sessuali e degli abusi. L’uscita del film calamiterà certamente l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema e offrirà – speriamo – un’occasione cruciale per parlarne, scriverne diffusamente, dibatterne, e sollevare ancora aperte denunce.
Sottrarre gli abusi di potere, le molestie, le violenze al silenzio in cui sono oggi confinate è fondamentale per fare sentire meno sole e incomprese le vittime e per sollevarle dallo stigma, che per uno schema sociale perverso colpisce loro e non i molestatori: sentirsi comprese e protette socialmente, le incoraggerebbe ad affidarsi alla legge e a denunciare, perché sappiamo che al momento chi denuncia alle istituzioni gli abusi è una frazione infinitesimale di quante li subiscono (ogni quarto d’ora in Italia una donna è vittima di violenza, 88 al giorno, sono dati della Polizia di Stato).
Un sistema da rovesciare
Parlare con chiarezza di abusi e ricatti e condannarli pubblicamente significherebbe, d’altra parte, sancire che le molestie non sono – come i molestatori dicono o pensano – avances travisate, ma fatti gravissimi e che il loro agire abusante viola nel profondo il corpo, la dignità, la libertà di chi colpiscono. E, soprattutto, parlare apertamente di MeToo anche in Italia spingerebbe l’interesse collettivo dai singoli fatti episodici al sistema culturale che lo genera, perché gli abusi di genere, ogni abuso di genere è la ricaduta individuale di un clima sociale che, ancora, proprio sulla base del genere, svalorizza e discrimina. Ed è questo sistema che va messo a nudo e rovesciato.