Si è chiusa esplorando i molteplici sensi della parola Cura la seconda edizione di Dentro le parole, il ciclo di incontri live in collaborazione con Palestra della scrittura per sensibilizzare sull’importanza delle parole. Perché chi ha seguito questi due anni di incontri si sarà convinto che le parole non contano solo per chi non ne ha cura, appunto, e che, anzi, avere cura del linguaggio e perciò voler cambiare le parole sbagliate che si usano è il modo più semplice e diretto per cambiare la realtà.
Decostruire le parole e, di conseguenza, i pregiudizi
Tante sono state le parole che, insieme al linguista Alessandro Lucchini, abbiamo attraversato. Sessismo, Femmina, Potere, Binario, Abilismo, Età, Violenza, Cura sono state solo le ultime in ordine di tempo. Le abbiamo decostruite, svitate, smontate e poi tutte ricomposte per capirle bene e dunque usarle meglio, così come abbiamo decostruito, uno alla volta, i meccanismi discriminatori insiti nel linguaggio per non rischiare di scivolare nelle pozzanghere del sessismo, del razzismo, dei pregiudizi. Perché le parole sono roba tutt’altro che volatile: hanno tutte conseguenze. Le parole raccontano le intenzioni e dunque hanno, come poco altro al mondo, il potere di modificare i comportamenti e la realtà: una discriminazione compiuta attraverso le parole diventa automaticamente una discriminazione di fatto, reale e tangibile come è un’azione.
Negli ultimi mesi abbiamo, dunque, considerato le discriminazioni vissute dalle donne anche a causa di battute sessiste oramai normalizzate dal loro uso quotidiano. Abbiamo affrontato il razzismo benevolo destinato alle persone con disabilità e le narrazioni tossiche delle minoranze. Abbiamo esaminato abituali espressioni apparentemente inoffensive e che, invece, finiscono per mettere ai margini le persone troppo vecchie come quelle troppo giovani. E abbiamo osservato le parole stigmatizzanti dirette a quanti e quante hanno relazioni omoaffettive, e poi le parole sì usate, ma soprattutto quelle non usate per definire chi non si riconosce nel binarismo femminile/maschile, poiché anche non nominare qualcosa può ferire, perché significa non farla esistere.
Gli impatti positivi del linguaggio
Sulle parole ci abbiamo lavorato parecchio perché se i social hanno moltiplicato le opportunità di dire, di commentare, di giudicare e ciascuno di noi ha la convinzione di dirle sempre giuste le cose, allora serve una nuova responsabilità linguistica e un vocabolario adatto a questi nuovi scenari. Così abbiamo esplorato tutte le possibilità – e quante! – che il linguaggio possiede di generare impatti positivi, di costruire legami, di pacificare, di includere, soprattutto di valorizzare le diversità, convinti del fatto che siamo tutti, tutte differenti l’uno dall’altra e che oggi è salvando le differenze che nascono le cose migliori.
Sguardo futuro al tema delle generazioni
Ora ci prendiamo uno stacco. Torneremo in autunno, con nuove parole per capire, questa volta, come creare connessioni tra chi sta vivendo fasi differenti della vita: si chiamano generazioni – sono oggi sulla scena i Boomer, i Millennial, la Generazione Zeta… – e spesso inciampano in frizioni, freddezze, fraintendimenti reciproci, in cui tutte hanno da perderci. Vedremo se e come vale la pena che le faglie generazionali si ricompongano in un linguaggio sì comune, ma capace di salvare le differenze.
Tutte le live sono disponibili su YouTube.