Gli ultimi dieci anni non hanno fatto compiere passi in avanti ai diritti delle donne su scala mondiale: nonostante il #MeToo, le molte campagne di sensibilizzazione – pubbliche e private – le quote rosa, il cambio generazionale, sulle donne del pianeta continuano a gravare pregiudizi e disuguaglianze che allontanano ormai a ere futuribili l’obiettivo di parità indicato dall’ONU per il 2030. È un decennio di stagnazione, una sorta di danza immobile quella misurata dal Gender Social Norms Index 2023, massiccio rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) che, coprendo 80 Paesi e l’85% della popolazione mondiale, quantifica i pregiudizi contro le donne – e i conseguenti impatti – fotografando le credenze sociali distorte in quattro aree: politica, educazione, economia e integrità fisica.
Basterebbe un solo dato certificato dal report per avere l’istantanea di quanta misoginia attraversi ancora in lungo e in largo il pianeta: quasi 9 persone su 10 nel mondo, uomini o donne che siano, nutrono una qualche forma di pregiudizio nei confronti delle donne. E il pregiudizio ha radici nei Paesi più ricchi come in quelli con basso Indice di sviluppo umano, colpendo indipendentemente dalla cultura, dal reddito, dall’appartenenza geografica.
Gli stereotipi di genere sono un problema mondiale
La portata pervasiva e planetaria delle discriminazioni sessiste è messa in luce sin dalla prima pagina del rapporto. E del resto, la metà della popolazione del pianeta crede che gli uomini in politica siano migliori delle donne; il 43% è, poi, convinto che in azienda gli uomini siano leader più efficaci e il 46% che un uomo ha più diritto al lavoro di una donna. Il peggio: il 25% delle persone del pianeta legittima in qualche modo la violenza domestica.
«Le norme sociali di genere distorte – che causano sottovalutazione delle capacità e dei diritti delle donne nella società – limitano le scelte e le opportunità delle stesse, regolando il comportamento e stabilendo i confini di ciò che le donne dovrebbero fare ed essere», scrive il rapporto. «Le norme sociali di genere distorte sono un grave ostacolo al raggiungimento dell’uguaglianza di genere e all’emancipazione di tutte le donne e le ragazze».
Più istruite e meno pagate. Perché?
Molteplici gli spunti offerti dallo studio. A partire da quello che sancisce l’automatismo tra credenze sociali sessiste e bassa emancipazione femminile già a partire dalla dimensione più privata, la famiglia. «Nei Paesi con più alti livelli di norme sociali di genere distorte, le donne dedicano 6 volte il tempo degli uomini alla cura non retribuita della casa e della famiglia», conferma il rapporto.
E non si rintraccia, invece, un nesso consequenziale tra miglioramento dell’istruzione femminile, laddove c’è, e aumento degli stipendi. Infatti, se in molti Paesi le donne non sono mai state istruite quanto oggi, negli stessi continuano a essere meno ricche degli uomini. «Persino nelle 59 Nazioni dove le donne adulte hanno un livello di istruzione superiore a quello degli uomini, si registra un gap salariale medio del 39%», scrive.
Il nesso causale è, semmai, e ancora una volta, tra gap salariale e stereotipi di genere, in linea con diversi studi che mostrano che i redditi delle donne sono condizionati dalla cosiddetta child penalty, la penalizzazione che colpisce le lavoratrici quando diventano madri, legata allo stereotipo secondo cui le donne dedicano più tempo alla famiglia che al lavoro.
Decennio da dimenticare per la parità di genere
Ma le credenze stereotipate tengono lontane le donne anche dal diventare leader. Sul pianeta, le donne occupano poco più di un quarto dei seggi parlamentari e poco più di un quinto dei posti ministeriali, mentre dal 1995 detengono appena il 10% dei ruoli capi di Stato o di Governo: il rapporto dell’UNDP mostra che i Paesi meno condizionati da norme sociali sessiste sono quelli che contano più donne nei loro Parlamenti. Tale sessismo su scala sociale non solo limita le libertà e le opportunità per le donne: priva anche le società dei benefici della leadership femminile, della diversità di prospettive, esperienze, abilità, voci, idee che portano le donne quando arrivano ai vertici.
Il rapporto dichiara con fermezza che le libertà civili sono in declino in tutto il mondo da almeno un decennio: «Diminuzione globale delle libertà e polarizzazione sono state accompagnate da reazioni contro l’uguaglianza di genere e i diritti che interessano intere società, spostando i rapporti di potere. Oltre che attraverso norme sociali discriminatorie, il contraccolpo si è espresso con l’estremismo e la disinformazione di genere, mettendo a rischio la partecipazione paritaria delle donne nella politica e negli spazi civici, e attraverso il regresso di leggi e politiche sulla parità di genere».
Detto ciò, dal 2010 al 2022, la percentuale di persone prive di stereotipi di genere sono aumentate in 27 Paesi. In testa a questa classifica dell’equità ci sono Germania, Uruguay, Nuova Zelanda, Singapore, Giappone, mentre sono in piena regressione Cile, Corea del Sud, Messico, Russia, così come Filippine e Argentina.
Parità di genere: l’invito ad agire
Per sfidare le distorsioni delle rappresentazioni sociali, l’UNDP propone due tipologie di azioni: le prime mirano a plasmare interventi politici e riforme istituzionali sensibili al genere, mentre le seconde si concentrano sul ruolo significativo del contesto sociale nel modellare atteggiamenti e comportamenti.
L’organismo per lo sviluppo dell’ONU suggerisce ai decisori di destinare le risorse economiche in modo che impattino in maniera significativa sulla vita delle donne, di favorire la conciliazione tra lavoro e vita privata così come l’accesso al lavoro e al credito, di contrastare l’odio on line e la disinformazione di genere, tutte dimensioni che risultano oggi essere molto influenzate dai pregiudizi sessisti.
Quanto alle azioni meno formali, il rapporto evidenzia misure diffuse che mettano al centro educazione e istruzione affinchè si creino contesti rispettosi dell’identità di donne e uomini e della loro rappresentazione sociale.