“Ìmpàri. Educare oltre gli stereotipi di genere” è il progetto promosso dal Centro documentazione donna di Modena per favorire le pari opportunità tra uomo e donna, la formazione alla cittadinanza e la cultura della non discriminazione come strumento di prevenzione e contrasto alla violenza. I laboratori, attivi dal 2017, sono rivolti alle nuove generazioni, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado, per contrastare le rappresentazioni stereotipate di maschilità e femminilità. Dal 2017 a oggi ne sono stati svolti 205 nelle scuole per un totale di 710 incontri e più di 5000 ragazzi e ragazze coinvolte.
L’importanza della consapevolezza
Gli stereotipi di genere esistono ancora, inutile negarlo. È importante averne consapevolezza fin dall’infanzia per provare a contrastarli o almeno averne coscienza nell’età adulta. Spiega una responsabile del progetto, Vittorina Maestroni: «Il primo filone sul quale lavoriamo è quello culturale: cerchiamo di spiegare anche ai bambini e alle bambine da dove nascono gli stereotipi, come agiscono sulla realtà e quanto ne siamo influenzati, cercando di stimolare consapevolezza».
Nei laboratori, attraverso differenti modalità in base all’età, si riflette allora sulle questioni di genere, scendendo anche nella concretezza della quotidianità e lasciando emergere problemi reali, fra i quali le differenze salariali o la difficoltà a raggiungere posizioni apicali. «In questi anni – prosegue Vittorina Maestroni – abbiamo visto una crescente attenzione e consapevolezza da parte dei ragazzi e delle ragazze, che pongono sempre molte domande». Aggiunge Anna Scapocchin, altra responsabile dei laboratori: «Spesso sono le stesse ragazze e ragazzi a mettere in discussione gli stereotipi, riflettendo sulla loro quotidianità».
Non solo cultura, ma anche cittadinanza
Durante i laboratori non si parla solo di cultura. «Non è solo una questione di cultura ma anche di diritti e di cittadinanza attiva – continua Vittorina Maestroni -. Con le ragazze e i ragazzi più grandi vediamo anche come le donne siano state incluse o escluse nella storia, come sono state rappresentate». Una cittadinanza piena e consapevole alla quale ogni persona è chiamata a contribuire. Del resto la Costituzione italiana, all’articolo tre, ricorda l’uguaglianza di fronte alla legge senza distinzione di sesso, etnia, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni sociali, oltre a impegnare la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che possono impedire il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione alla comunità. E come sottolinea Maestroni, «la Repubblica siamo noi».
I percorsi, come detto, sono diversificati a seconda dell’età. Con i bambini e le bambine alla scuola dell’infanzia si riflette giocando, attraverso storie tratte da libri illustrati o immagini. Si chiede di provare a indovinare se alcuni oggetti sono stati ideati da uomini o da donne e si dialoga per far ragionare bambini e bambine sulla ricchezza della loro unicità. Si lavora anche su storie legate alla collettività, tra principesse rosa e una rielaborazione della storia di Rosa Parks. «Attraverso le storie ragioniamo sul tema collettivo della cittadinanza, sul fatto che c’è un modo di stare bene insieme rispettando la nostra unicità», racconta ancora Maestroni.
Non solo diritti, dunque, ma anche doveri. Se con la scuola dell’infanzia la modalità è giocosa, con i ragazzi e le ragazze delle scuole secondarie si accendono dialoghi e riflessioni che intrecciano le esperienze quotidiane e gli eventi storici. Spiega Anna Scapocchin: «Riflettiamo sul significato delle parole libertà, rispetto, dignità e regole, dando anche dati oggettivi e ragionando sulle relazioni e sulle possibili discriminazioni, che spesso riguardano la nostra quotidianità. Il tentativo è far rendere conto che anche nel piccolo è possibile fare qualcosa per cambiare».
Una questione sociale
Al termine degli incontri non mancano cartelloni o presentazioni dove si rielaborano i contenuti dei laboratori. «È importante sviluppare un pensiero critico, confrontarsi tra pari e capire il senso delle questioni di genere; per esempio, ci è stato detto che il rosa è un colore da femmina – riflettono Maestroni e Scapocchin -. Senza per forza contrastare, è importante capire il significato dietro l’attribuzione dei colori e l’evoluzione nel corso della storia». Le questioni legate al genere sono spesso, insomma, questioni sociali e culturali, dinamiche nel tempo.
Le attività sono svolte in orario scolastico; i docenti e le docenti diventano parte attiva del progetto. «Chiediamo loro di osservare e mediare, senza giudicare. Per noi il laboratorio è anche uno spazio di libertà di espressione, dove ognuno possa dire ciò che pensa e dove si possa riflettere su idee differenti».
Liberi e libere di essere ciò che siamo
La riflessione portata avanti nel progetto riguarda anche le rappresentazioni che docenti, educatori ed educatrici, portano nella loro attività quotidiana. «Spesso è importante effettuare percorsi di formazione per far riflettere su quali stereotipi ci portiamo dietro e quali messaggi si comunicano». Una questione di consapevolezza, che parte da ognuno di noi, facendo però attenzione a non sostituire uno stereotipo con un contro stereotipo. Non interessa dire che le ragazze sono forti ma che ognuno possa essere com’è senza essere giudicato. Perché in fondo, concludono le educatrici, «si possono amare le principesse o giocare a calcio, essere più o meno emotivi, ma in modo consapevole. L’importante è sviluppare un pensiero critico, fornire degli occhiali per leggere la realtà, attraverso vari modelli e possibili interpretazioni e lasciando la libertà di esprimere il nostro essere».