Da Chongqing arriva un gestionale coloratissimo pieno di cose da fare e folli personaggi virtuali da conoscere (e, perché no, pure corteggiare)
È davvero difficile non pensare a Rune Factory (a proposito, letta la recensione di Rune Factory 3 Special?) quando si gioca a My Time at Sandrock, ultima fatica della startup cinese Pantea Games che qualche anno fa aveva sviluppato un prodotto analogo, My Time at Portia. Ma accogliamo con favore il fatto che i quattro anni che separano i due titoli siano serviti alla software house indipendente a caratterizzare meglio la propria serie, nel tentativo di battere strade diverse dai gestionali più noti, come appunto il videogame di Marvelous o la risposta di Nintendo: Animal Crossing.
My Time at Sandrock, parola d’ordine: coltivare
Il nucleo della produzione cinese resta quello: bisogna coltivare. Un po’ tutto. Nel senso che oltre a frutta e (soprattutto) verdure, c’è pure una discretamente ampia rete sociale di cui prendersi cura. Fin qui non sembrano esserci grosse differenze rispetto ai titoli appena citati, in particolar modo rispetto a Rune Factory, visto che My Time at Sandrock presenta anche fasi esplorative e tanti, tantissimi combattimenti.
Dove il titolo cinese differisce, anche rispetto al primo capitolo, è nell’ambientazione. Scordatevi regni fatati e isolette felici: Sandrock, come forse dovrebbe fare intuire il nome, è un posto piuttosto infernale, in cui le risorse elementari sono limitate e razionate. Non c’è praticamente acqua e la poca in circolazione è venduta a caro prezzo. Stessa cosa dicasi per il legname. Pare insomma la sfortunata Armadillo vista nei due Red Dead Redemption. Un bel problema per dei tuttofare come noi che a Sandrock aprono la propria officina.
L’ambientazione arida oltre a rendere tutto più dimesso (la cittadina a inizio gioco è messa davvero male), contribuisce a fare sì che tutto sia pure più sfidante. Inoltre si veicolano importanti messaggi in ottica circular economy, visto che il nostro miglior amico sarà il cosiddetto Riciclatore, in cui sversare un po’ di tutto per estrarre materiali preziosi per il nostro lavoro. L’aspetto che ci ha convinto meno, invece, riguarda la personalizzazione della propria casetta, così da trasformare la stamberga iniziale in una vera e propria reggia.
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Le opzioni riguardanti la mobilia sono davvero tante, ma gli sviluppatori hanno legato la qualità della casa alla crescita del proprio alter ego. Una trovata originale che però incide eccessivamente sulla libertà che dovrebbe essere concessa al giocatore in titoli di questo titolo, se si pensa che nell’ultimo Animal Crossing volendo è possibile trascorrere tutta la propria esistenza virtuale nella tenda con cui si inizia la nuova vita sull’isoletta. In questo modo, insomma, non si può concentrarsi solo sull’aspetto avventuroso, lasciando indietro tutto il resto, perché le statistiche del personaggio crescono solo ottenendo risultati concreti nel gestionale.
Non mancano naturalmente gli NPC: Sandrock sarà pure la classica cittadina fantasma da film western, ma nel tempo che spenderemo laggiù potremo incontrare una trentina di personaggi, tra nomadi e stanziali, tutti discretamente ben scritti, almeno per il genere di appartenenza, che fa della ripetitività dei dialoghi una costante. Più intratterremo rapporti col vicinato e più opzioni si sbloccheranno, permettendo di sfidare i propri dirimpettai ad alcuni minigiochi (si va dalle carte alle… ehr… botte) e persino di convolare a nozze, anche con unioni omosessuali.
Fuori dai confini cittadini ci attende invece un mondo non troppo ricco e nemmeno variegato, ma tuttavia interessante da girare (magari a cavallo), anche perché zeppo di mostri. Il sistema di combattimento è rudimentale ma, a sorpresa, funziona. Allo stesso modo l’esplorazione dei dungeon è stata resa più agile rispetto al predecessore. Insomma, My Time at Sandrock si è rivelato davvero una bella esperienza. Verrete a farci visita?