Nuova puntata della rubrica Che social sarà? Twitter Blue, YouTube Premium, Twitch Prime, Twitch Turbo e anche Snapchat+ lasciano pensare che il futuro delle piattaforme sia su abbonamento. Chi non paga sarà escluso?
Negli ultimi due anni, e soprattutto negli ultimi mesi, le piattaforme social media hanno subito notevoli cambiamenti nella loro struttura e nel modo in cui si presentano alle persone che le usano. L’innovazione più significativa, e per certi versi eclatante, è l’introduzione di forme di abbonamenti con annesse funzionalità a pagamento. Un cambio di paradigma notevole per queste piattaforme, nate in modalità del tutto gratuite, ricorderete il detto “se non stai pagando il servizio, allora il prodotto sei tu”, adesso si stanno trasformando in piattaforme premium con obiettivi e scopi totalmente differenti a quelli di soli pochi anni fa.
I modelli su cui si reggevano le piattaforme social media prima erano impostati sulla pubblicità. In cambio dell’uso gratuito della piattaforma, gli utenti “regalavano” il proprio tempo e anche i propri contenuti. Per non dire, in casi estremi, anche parte della loro esistenza. Ma questo è un altro discorso. Tutto è andato in crisi quando il modello della pubblicità non ha più generato entrate in maniera assoluta, complice anche la Apple che dal 2021 ha cambiato la propria politica in tema di gestione dei dati degli utenti, e questo che vediamo oggi è, quindi, in parte figlio di quella decisione. A questo si deve aggiungere la crisi della aziende proprietarie delle piattaforme social media che non sono state in grado di massimizzare il vantaggio acquisito in termini di business durante i due anni della pandemia, e, a complicare il tutto, sono sopraggiunti licenziamenti di massa. Il quadro è diventato ancora più serio nelle scorse settimane con il fallimento della Silicon Valley Bank, la banca punto di riferimento per tutta la Silicon Valley negli ultimi 40 anni.
Come dicevamo, le piattaforme social media sono nate come strumenti gratuiti per connettere le persone e permettere loro di condividere contenuti. Con il crescere del numero di utenti, con la crescita dell’attenzione sulle questioni legate alla privacy e alla monetizzazione e, soprattutto, con i cambiamenti a livello sociale, economico e finanziario che hanno fatto sentire i loro effetti a livello globale, le piattaforme hanno iniziato a esplorare nuovi modi per generare entrate e migliorare, per quanto possibile, l’esperienza utente. Nel 2021 Twitter ha cominciato ad introdurre Twitter Blue, la versione a pagamento che avrebbe dovuto fornire, dietro il pagamento allora di circa 3 dollari al mese, funzionalità aggiuntive, e da allora tutto è cambiato. Prima di tutto è cambiata Twitter, che ora si trova nelle mani di Elon Musk, che oggi vede Twitter Blue come la versione destinata a sostituire in buona parte la piattaforma che tutti conosciamo da 17 anni a questa parte (compiuti da poco).
Twitter non è la prima forma di piattaforma social media. Per prima, tra le piattaforme più usate, va ricordata LinkedIn, che ha introdotto la sua versione premium nel 2015. Eppure, non ottenne l’attenzione che stanno generando le piattaforme generaliste. Questo perché, lo si può affermare con certezza, con il passaggio continuo verso forme di abbonamenti e funzionalità a pagamento, cessa di esistere il modello aperto a tutti, in termini di fruizione e interazione, e si apre un modello che apre invece a chi attraverso questi strumenti genera contenuti e interazioni mirate.
Cosa significa questo? Significa che queste forme di abbonamento non aperte a tutti gli utenti, ma interessano solo una parte di essi, per lo più creator e/o persone che attraverso questi strumenti sviluppano il proprio lavoro. Ecco la discrepanza che si crea con il passato. Il termine “generalista” perde di significato. Oltre a Twitter Blue vanno annoverate anche YouTube Premium, Twitch Prime e Twitch Turbo e anche Snapchat+.
Poi è arrivata, nei giorni scorsi, la decisione di Meta di offrire una versione a pagamento di Facebook e Instagram, separatamente, a circa 12 dollari al mese (la forma in abbonamento è approdata da poco negli Usa) che offre la tanto agognata spunta blu, assistenza da parte dell’azienda per mantenere integro il proprio account e per avere maggiore visibilità. Ciò significa che gli utenti pagano perché i propri contenuti vengano mostrati di più nelle ricerche e nei commenti.
Certo, gli utenti che decideranno di non pagare potranno restare nelle piattaforme, ma verranno penalizzati in termini di visibilità, quindi minore interazione, e in termini di sicurezza. Già, questo è un altro capitolo che è ormai al centro delle polemiche e dei dibattiti che da giorni vedono impegnati tutti: utenti, esperti, comunicatori. Infatti, on è solo un segno di spunta blu che si ottiene pagando, ma anche una funzionalità di sicurezza che è diventata standard per diversi account online. Ad esempio, su Twitter dal 20 marzo scorso, gli utenti non abbonati non hanno più accesso all’autenticazione a due fattori di Twitter tramite il sistema di messaggi di testo. L’alternativa era di attivare l’autenticazione a 2 fattori attraverso app oppure pagare per mantenere quella con SMS. Il rischio era quello di perdere l’accesso al proprio account. Quindi la piattaforma social media a pagamento mette in formato premium anche la sicurezza. Probabile, seguendo i numeri indicati da Deloitte, che indicava come nel 2022 negli Usa ci fossero un quinto degli utenti, adolescenti e adulti, avessero subito violazioni del proprio account, che la sicurezza sarà sempre più appannaggio di chi paga e meno di chi decide di continuare a fruire la piattaforme come sempre.
La preoccupazione degli esperti di cybersecurity è che questa modalità doppia, a pagamento e gratis, definita pay-to-play, finirà per generare un doppio schema senza risolvere del tutto il tema della sicurezza stessa delle piattaforme. Osservando allora cosa le piattaforme social media si prefiggono di ottenere, vediamo più da vicino, in sintesi, alcuni aspetti. L’offerta di abbonamenti e funzionalità a pagamento ha diversi significati e conseguenze per le piattaforme social media e gli utenti. Quindi:
- Monetizzazione: le piattaforme cercano di diversificare le loro fonti di entrate oltre alla pubblicità. Introducendo servizi premium o funzionalità a pagamento, possono generare entrate aggiuntive. Però, questa mossa può anche portare a una maggiore segmentazione degli utenti tra coloro che possono permettersi queste funzionalità e coloro che non lo possono.
- Esperienza utente migliorata: gli abbonamenti a pagamento possono offrire un’esperienza senza pubblicità o funzionalità aggiuntive, migliorando l’esperienza complessiva degli utenti e, in alcuni casi, aumentando la loro fedeltà alla piattaforma. Anche se questo potrebbe generare un divario tra gli utenti paganti e non paganti, in termini di qualità dell’esperienza utente
- Contenuti esclusivi e funzionalità avanzate: gli utenti che pagano possono accedere a contenuti esclusivi, funzionalità di personalizzazione, supporto prioritario e altro ancora, rendendo l’esperienza più personalizzata e coinvolgente.
- Supporto ai creatori di contenuti: l’introduzione di funzionalità a pagamento può aiutare i creatori di contenuti a guadagnare direttamente dalla loro base di fan attraverso opzioni come “super follow”, “super chat” o “tips”.
Una considerazione finale rispetto a tutta questa evoluzione dei social media è che, inevitabilmente si darà vita ad un modello a due velocità che rischia di avvantaggiare alcuni utenti e di svantaggiarne altri. Cambierà forse la percezione degli influencer che verranno sempre più riconosciuti come “creator” e avranno un loro ruolo specifico, essendo diventati col tempo parte importante delle piattaforme.
Altro rischio è che l’altra parte di utenti, quelli che decideranno di non pagare, saranno sempre meno incentivati a condividere contenuti e a pubblicare le proprie sensazioni. E tra questi non paganti ci saranno anche gli utenti più giovani che, per ovvi motivi, si vedranno demotivati, per certi versi, ad usare queste piattaforme. Insomma, senza ancora considerare quali saranno le aspettative economiche rispetto alle formule pay-to-play che le società stanno adottando, c’è da dire che la strada non sarà certamente facile.