L’analisi domenicale, curata dalla startup innovativa Storyword, sui temi che hanno tenuto banco sulla stampa estera durante la settimana appena trascorsa
Le piattaforme social stanno alleggerendo le politiche restrittive volte a prevenire o contenere la diffusione della disinformazione, convinte che il rischio di tali danni sia inferiore a quello di limitare il dibattito politico. YouTube, ad esempio, ha preso una decisione che ha fatto molto discutere: tramite un post pubblicato sulla sua piattaforma, ha comunicato che non rimuoverà più i contenuti complottisti – relativi alla presunta vittoria di Donald Trump – sulle elezioni presidenziali del 2020. Dopo migliaia di video rimossi, l’azienda ha ritenuto opportuno rivedere alcune politiche alla luce di un nuovo contesto politico-sociale. Si tratta di una decisione apparentemente ponderata ma non sono stati forniti i dati e i fattori sulla quale poggia, anche se ulteriori dettagli verranno comunicati nei prossimi mesi. Da segnalare che tale norma non intaccherà le altre regole sulla disinformazione di YouTube. Dall’altro lato, Axios racconta che Meta ha ripristinato l’account Instagram del candidato alle primarie democratiche Robert F. Kennedy Jr., rimosso nel 2021 per aver pubblicato fake news sul Covid. “Ora è un candidato alla presidenza degli Stati Uniti”, ha dichiarato il portavoce di Meta. A ciò si aggiungono due fattori: i licenziamenti di massa hanno decisamente avuto un impatto negativo sulla fiducia degli utenti nei confronti delle Big Tech; alcune di queste aziende (come Twitter, Spotify e Disney) stanno limitando anche le restrizioni relative agli annunci pubblicitari dei politici.
Grane in casa Instagram
Un’inchiesta del Wall Street Journal e dei ricercatori dell’Università di Stanford e dell’Università del Massachusetts Amherst ha rivelato che Instagram, di proprietà di Meta, è il social più utilizzato dalle reti di pedofili per promuovere e vendere contenuti relativi all’abuso sessuale su minori. Si tratta di centinaia di migliaia di profili. La piattaforma non solo non dispone di misure sufficienti per arginare il fenomeno, ma in certi casi addirittura lo promuove a causa del suo algoritmo. “Oggi Instagram è la piattaforma principale per queste reti a causa degli algoritmi di raccomandazione dei contenuti e della messaggistica che aiutano l’incontro tra domanda e offerta”, raccontano i ricercatori. Dall’inchiesta emerge che la maggior parte di questi profili non vengono pubblicizzati in maniera esplicita, ma si limitano a mostrare un “catalogo dei prodotti”. Contattata dal quotidiano, Meta ha affermato di avere istituito una squadra interna per risolvere questo problema, non mascherando tuttavia le relative difficoltà.
Il soft power degli influencer di campagna
Gli influencer della Cina rurale stanno diventando sempre più popolari all’estero grazie ad agenzie che condividono i loro contenuti sui social media vietati dal Partito Comunista cinese. Tali agenzie operano come mediatori culturali che oltrepassano il così detto Great Firewall, reclutando talenti locali i cui contenuti vengono tradotti in più lingue e condivisi su piattaforme come YouTube, Instagram e TikTok. Il loro successo è dovuto proprio all’originalità dei contenuti, che vengono realizzati nelle campagne cinesi. Come mai il governo, in linea con le sue politiche restrittive, non ne vieta la diffusione? Il motivo risiede nel soft power: il Partito sfrutta queste rappresentazioni della vita rurale per fare propaganda all’estero, proiettando fuori dai suoi confini una immagine della Cina ben lontana dalla realtà. Come riportato da Rest of World, una delle influencer di maggiore successo, Li Ziqi, è stata elogiata dai media statali per la capacità di raccontare belle storie sulla Cina, ricevendo anche una serie di titoli ufficiali.
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