Alzati, Senzaluce, e lasciati guidare dalla grazia verso la conquista dell’Anello ancestrale in un’avventura che promette di rompere gli schemi
Ci sono videogiochi che fanno la storia. Per fortuna negli ultimi tempi sono aumentati. Sono titoli che vengono attesi per mesi, spesso pure per anni, e il giorno della loro storia costituisce una sorta di spartiacque tra ciò che c’era ed è stato e ciò che verrà dopo, consapevoli che hanno alzato l’asticella per i videogames a venire. Elden Ring è sicuramente uno di questi, perché eravamo tutti curiosi (a dir poco) di vedere Hidetaka Miyazaki e FromSoftware alle prese con un open world e dare risposta a una domanda che da tempo affollava la nostra mente: siamo davanti a un Dark Souls con libertà di movimento?
A spasso per Elden Ring
Non è per nulla facile realizzare un open world: pensate alla libertà assoluta e incondizionata di The Legend of Zelda Breath of the Wild. Andare ovunque, dove si vuole quando si vuole senza seguire alcun ordine preciso, per noi videogiocatori, è la cosa più facile del mondo. Dietro le quinte, garantire una simile libertà, senza script, senza limiti di sorta e muri invisibili, è una operazione infernale.
Fin dalle prime ore di gioco si capisce che Elden Ring non è solo dotato di una enorme mappa, ma ha saputo renderla protagonista. Non ci vuole troppo tempo, per esempio, per individuare la tana del primo boss, che troneggia in bella vista sul resto della zona: ma se ci si prende del tempo per sé, se ci si allontana dal seminato, ecco allora che ci si imbatte in una serie di attività secondarie, side-quest, location da esplorare che premieranno i più coraggiosi, o anche semplicemente chi è più attento a ciò che lo circonda.
Tra grotte e catacombe da esplorare alla ricerca di tesori, c’è davvero da perdersi, nel caso si lasci la strada principale. Da questo punto di vista, per tornare alla disquisizione sugli open world, pure il recente Immortals: Fenyx Rising (qui la recensione) aveva una mappa zeppa di side quest, ma FromSoftware le ha tessute con maggior naturalezza nella zona di gioco. L’ambientazione, peraltro, è bellissima: tanto immensa quanto evocativa. Era da parecchio, forse da Ghost of Tsushima (qui la review), che non restavamo ammaliati da ‘semplici’ scenari.
Ma mentre le lande nipponiche ci erano parse troppo vuote, un po’ esclusivamente scenografiche, l’Interregno in cui deambula sperso il nostro Senzaluce è un verminaio di segreti, più o meno mortali, che premieranno con ricompense utili a far crescere il personaggio.
Leggi anche: Recensione di Horizon Forbidden West, le avventure di Aloy meritano una statua
E qui si comprende insomma il delicato equilibrio creato dagli sviluppatori: si può decidere di procedere solo con le main quest, ma se si vuole essere facilitati, conviene abbandonare la strada maestra. Ma allora, Elden Ring è un Dark Souls con open world? Anche dopo diverse ore di gioco, è difficile dare una risposta assoluta.
Non amiamo troppo le sfumature, ma probabilmente converrebbe rispondere ‘nì’: perché innegabilmente le meccaniche sono quelle – e lo sapevamo -, mentre non ci aspettavamo un simile riciclo di asset che in più punti porta a chiedersi se siamo di fronte a un titolo a se stante o a uno spin off, dato che tanti nemici li abbiamo visti nell’altra saga.
A cascata, allora, viene da chiedersi se “siamo di fronte al Breath of the Wild di FromSoftware?”. Qui forse si può più facilmente rispondere positivamente: non c’è la medesima libertà totalizzante e soverchiante, forse non è stato raggiunto il medesimo livello di pulizia ludica, che rasentava la perfezione, del titolo Nintendo, ma in compenso la mappa di Elden Ring, coi suoi manieri in rovina, i suoi villaggi maledetti, cimiteri infestati, antiche cattedrali brulicanti di mostri e scuole di magie traboccanti di oscuri segreti, riesce a offrire un coinvolgimento maggiore della Hyrule devastata dalla Calamità Ganon.
Si tratta in entrambi i casi di due mondi medievaleggianti in rovina, costellati da antiche vestigia che possono solo vagamente fare intuire il potere che secoli prima scorreva in quei regni. Ma in Elden Ring gli sviluppatori hanno insistito maggiormente sulla componente narrativa, giustificando la maggior parte delle strutture presenti. Insomma, in Zelda una colonna, un lago, una fortezza o un villaggio servono ‘solo’ a fini ludici: qui potrete scoprirne la storia che si nasconde dietro.
A tutto ciò si aggiunge la superba caratterizzazione dei mostri: l’Interregno non è solo un mondo maledetto, è un regno corroso, perverso, marcio. Lo si intuisce soprattutto dalle sue forme di vita, a dir poco ributtanti, sgraziate, caracollanti e semplicemente nauseanti. Oltreché letali, s’intende. Per provare ad arginarle dovrete far ricorso ai combattimenti, che sfoderano quanto la saga ha imparato in anni di Souls e permettono di apprezzare la potenza di ogni colpo parato e andato a segno, ma anche la possanza dei nemici o l’ingombro delle proprie armi e armature.
Abbiamo provato il titolo sia su PlayStation 5, sia su PS4 e dobbiamo dire, a sorpresa, che l’ex ammiraglia Sony si comporta davvero bene. Niente inciampi stile Cyberpunk 2034 (ancora bruttarello su old gen, perfino dopo la patch 1.5), insomma: certo, occorre fare la tara con tempi di caricamento insolitamente lunghi su console (non su PC, soprattutto se giocate con una configurazione con qualche anno d’età) e con un aggiornamento video a 30fps messo a dura prova dai nemici più grossi, che ben fa il paio con una minor pulizia dell’immagine, ma tutto sommato temevamo peggio. E poi si può sempre comprarlo su PS4 e passare, gratis, alla versione PS5. Sull’altro fronte, supporta Smart Delivery per Xbox, consentendo di giocarlo sia su Xbox One sia su Xbox Series X|S con un singolo acquisto.
A livello tecnico, Elden Ring è sia potente, sia un ovvio miscuglio tra ciò che poteva essere fatto sulle console di vecchia generazione e ciò che potrà essere fatto sulle prossime: i limiti tecnici, soprattutto su PS5, sono lampati. Però dove non arriva la qualità grafica, mette una pezza, al solito, la caratterizzazione superlativa di mostri, comprimari o anche semplici manieri derelitti.
Il risultato è un viaggio penoso, faticoso, doloroso in una landa avvelenata, ammorbata, dilaniata dai demoni. Siamo di fronte a uno di quegli spartiacque, o ‘giri di boa’, di cui parlavamo all’inizio: adesso che Elden Ring è uscito e gira sulle nostre console e sui nostri computer, tutte le altre software house, ma anche la stessa FromSoftware, sono avvertite: i prossimi open world dovranno superare per qualità e contenuti la produzione Bandai Namco. E non sarà affatto facile.