Un’opera distopica, disturbante, senza paura di affrontare i temi più delicati
Non si può non pensare a La fattoria degli animali di George Orwell quando si gioca a White Shadows. Il primo titolo mai sviluppato da Monokel, software house tedesca (di Colonia) attiva da tempo nel campo dell’intrattenimento cinematografico e già premiata per i suoi lavori, è un’opera squisitamente narrativa. In un mondo in bianco e nero, dove fastidiose luci dal bagliore accecante sono poca cosa in confronto al buio profondo che copre gli esseri viventi rimasti, inizia un’avventura che ci ha ricordato come ci eravamo sentiti piccoli e inermi in Little Nightmare II (lasciamo qui sotto la recensione). Ma in questo caso, se possibile, l’orrore e l’angoscia che si respirano ovunque sono ancor più accentuati. Scoprite di più nella nostra recensione per Xbox Series X/S.
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La guerra è finita e sul mondo è piombato un nuovo ordine. I lupi comandano mentre gli altri esseri viventi, metà umani e metà animali, sopravvivono in un regime la cui propaganda rimbomba ovunque. Pubblicità e messaggi del ministero della Luce trasmettono slogan inquietanti – “Se lo meritano” – e nei primi istanti di gioco impariamo a conoscere la protagonista. Lei è una ragazzina, dal corpo agile e gracile al tempo stesso: Ravengirl ha gli occhi e il volto di un corvo ed emerge dai bassifondi della città per iniziare un viaggio apparentemente senza meta.
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Il gameplay di White Shadows è funzionale alla narrazione e la software house non ha voluto nemmeno inserire un millisecondo di tutorial. Non saprete con quale tasto di salta o si sposta un cassone, neppure come si attiva un meccanismo. Scelta che all’inizio può disorientare, ma che ben si adatta con una situazione lontana anni luce dalla comfort zone. Anche se nessuno ci insegue (o no?), stiamo scappando. Si corre, si salta, si striscia e si attivano ingranaggi in una logica da puzzle game. Ma non è tanto qua la densità dell’esperienza, quanto in tutte quelle scene che si svolgono sullo sfondo, mentre noi camminiamo lungo un tubo affacciato sullo strapiombo. Più volte ci siamo fermati, divenendo spettatori di orrori.
White Shadows parte quasi senza audio, con i passi di Ravengirl. Poi i primi rumori ci ricordano che in quella foresta di ferri e rifiuti qualche forma di vita c’è. E da lassù, dove ci stiamo dirigendo, inizia a sentirsi sempre più un chiasso disturbante. La città si svela molto presto come una metropoli dove i sudditi eseguono ordini, camminando e agendo come zombie. Da questo punto di vista l’esperienza della software house si svela in tutta la sua potenza. Non soltanto siamo piccoli rispetto all’ambiente, ma è l’ambiente che pulsa in tutta la sua violenza gettandoci addosso rumori e non solo.
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A livello di esperienza dobbiamo comunque dire che, per quanto minimal, manovrare Ravengirl in questo platform è piacevole e dal pad emerge la fragilità di questo piccolo essere. Purtroppo abbiamo riscontrato qualche calo di frame rate e in un paio di occasioni abbiamo dovuto addirittura riavviare il gioco. Problemi che potrebbero comunque essere risolti con una patch, anche se diverse testate avevano riscontrato il problema mesi fa nella demo. White Shadows, siamo in conclusione della recensione, non è un videogioco adatto a tutti. Ancor prima di iniziare gli sviluppatori ci hanno avvisato che il titolo affronta questioni come il razzismo, la xenofobia, la violenza sulle donne e sui bambini. Questioni che il mondo indie sta affrontando con prodotti a volte brillanti.