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Cecilia Bonefeld, direttrice generale di DIGITAL EUROPE, ci ha dato la sua ricetta per per creare una European Valley dell’innovazione.
Digital Europe è l’associazione che rappresenta in Europa le più importanti aziende del digitale, insieme a 37 associazioni nazionali di categoria. Abbiamo chiesto a Cecilia Bonefeld, direttrice generale, quale sia la loro visione per il futuro digitale dell’Europa.
Dottoressa Bonefeld, di cosa abbiamo bisogno per creare una European Valley, sul modello della Silicon Valley californiana?
La nostra ricetta è semplice, è quella delle tre C: Competenze, Capitali e Mercato Comune.
Può bastare? Come sa oggi l’inglese è la lingua del digitale, della comunicazione e in Europa non tutti lo parlano. E poi, oltre alla lingua, manca una cultura comune europea. Non crede che questo potrebbe essere un ostacolo per la scalabilità di una startup in Europa?
Oggi è più facile parlare in Inglese. E comunque non sarà un problema in futuro quando ci basterà un’app che usi l’Intelligenza Artificiale.
Per quanto riguarda la cultura crediamo che la diversità sia una forza, non un ostacolo. In Digital Europe lavorano persone di 12 nazionalità, dai 26 ai 70 anni. Questa è l’Europa, abbiamo ogni tipo di cultura ed è la nostra forza. Anche negli Stati Uniti la cultura cambia da Stato a Stato, così come l’inglese del Kentucky non è quello di New York. Il vero problema oggi è che se un’impresa Italiana vuole lavorare in Germania deve conoscerne le leggi, e questa diversità rallenta parecchio gli investimenti. Per questo dobbiamo puntare ad avere un vero mercato comune, con le stesse regole condivise.
Parlando di regole, l’Unione Europea, confrontata agli Stati Uniti, ne ha molte di più. Pensa che queste regole possano essere una barriera agli investimenti esteri?
Siamo 28 Paesi perciò una regolamentazione unica può aiutare sia le aziende europee che quelle straniere ad investire. Anzi, se le regole sono armonizzate, una buona regolamentazione può essere un driver per gli investimenti, fa sentire le persone più protette coi loro dati ad esempio. Come tutte le cose però, se se ne abusa, può avere degli effetti negativi.
La digitalizzazione può essere molto disruptive. Sappiamo che c’è un gap nelle digital skills. Come facciamo a non lasciare indietro nessuno?
Sul tema delle digital skills partiamo dai giovani, chi oggi ha tra i 14 e i 18 anni, la generazione che è rimasta in mezzo al guado e che è la generazione che abbiamo lasciato indietro. Hanno le stesse digital skills dei loro genitori pur essendo dei nativi digitali. Sui più giovani stiamo spingendo come Digital Europe, assieme alla Commissione Europea, per avere corsi di coding obbligatori da subito.
Come Digital Europe abbiamo una responsabilità, perché rappresentando noi le industrie del settore abbiamo la conoscenza, e molte delle nostre aziende infatti stanno spingendo molto sulle digital skills.
Per quanto riguarda i governi devono fare un passo avanti, e penso sia uno dei loro più grandi fallimenti. Alla Coalition for digital skills stiamo lavorando su come combinare il sistema educazionale, a livello europeo e nazionale, con l’industria e i nostri partner sociali, per mettere in atto un piano scalabile per le digital skills per la formazione dei lavoratori.
Certo ci saranno dei lavori che scompariranno, ma è così da sempre. Se pensiamo a chi dovrà lavorare ancora per i prossimi 10 o 20 anni, ci sono delle digital skills basilari che queste persone non possono non avere ed è responsabilità dei governi e delle aziende trovare una soluzione per la loro formazione.
In Italia gran parte della politica non ha una visione su questi temi. Se pensiamo a IoT (internet of things), AI (artificial intelligence), M2M (machine to machine), è la prima volta che abbiamo un’idea chiara di quello che sta arrivando. Cosa possiamo fare per limitare i rischi e coglierne appieno l’opportunità?
Al momento stiamo spingendo in Europa con una forte campagna di sensibilizzazione sugli effetti di una mancata formazione in digital skills. Ma credo che anche i politici dovrebbero prendersi le loro responsabilità.
Il problema è che, almeno in Italia, si pensa più a salvare i posti del lavoro di oggi, importante senza dubbio, senza pensare che parte di questi posti non ci sarà più tra 10 anni. Andiamo per urgenze.
Noi spingiamo su tre punti che consideriamo fondamentali per lo sviluppo delle imprese e per prepararle al futuro:
1. Connessione. Le persone e le aziende, sia grandi che piccole e medie, devono avere connessione garantita, ovunque si trovino. Non possiamo lasciare fuori dal mondo digitale qualcuno solo perché vive sulle montagne.
2. Cybersecurity. Abbiamo bisogno di avere un’infrastruttura sicura e affidabile, perché le persone non temano che i loro conti in banca possano essere prosciugati da un hacker.
3. Skills. Se non ci sono le skills, nulla funzionerà. Ne abbiamo bisogno per sviluppare e lavorare con le tecnologie che ha citato. Le skills sono alla base di tutto.