Una breve guida sugli aspetti da tenere in considerazione prima di andare dal notaio per costituire una startup innovativa e partire con il piede giusto
Che tu sia uno startupper seriale o una persona con un’idea brillante (e innovativa) che ha del potenziale per trasformarsi in un business, devi rassegnarti al fatto che, per creare una startup, oltre ad avere una certa propensione all’autoimprenditorialità, bisogna fare i conti non solo con il business plan ma anche con una serie di fattori “preliminari”. Se mancano quelli, probabilmente la startup entrerà sul mercato già zoppicante.
Secondo CB Insights, piattaforma di data analysis dedicata a venture capital e angel investment, i motivi più diffusi che causano il fallimento di una startup sul mercato sono in gran parte legati alla mancata chiarezza: negli obiettivi, negli investimenti, economici e in capitale umano, e nella vision concreta e orientata al mercato. La chiarezza, così intesa, serve a definire anche gli elementi che non devono mancare prima della costituzione di una startup e a non commettere alcuni errori comuni.
I 5 errori da evitare
- Non avere un’idea innovativa.
Se non si comprende bene cosa sia l’innovazione, difficilmente si sarà in grado di riconoscere se la propria idea d’impresa valga la creazione (e il successo) di una startup. Offrire un prodotto o servizio innovativo, al di là dell’oggetto sociale, significa introdurre nel ciclo economico processi produttivi, strumenti e applicazioni che possono portare un cambiamento in termini migliorativi nel mercato B2B, B2C e nella comunità, generando un progresso sociale. Si può essere l’inventore più illuminato e visionario del mondo ma se la propria invenzione non trova applicazione, allora non c’è innovazione e non è il caso di pensare a una startup. - Non soddisfare un bisogno di mercato o farlo troppo tardi.
Caso uno: la tecnologia è all’avanguardia e può rappresentare la soluzione a un problema. Il mercato, però, non è ancora pronto ad adottarla o non ha abbastanza familiarità per comprenderne il reale beneficio. Caso due: la tecnologia è all’avanguardia, ben compresa dal mercato e può rappresentare la soluzione a un problema. C’è però bisogno di molto tempo per implementarla e trasformarla in un prodotto tangibile. Nel primo caso, l’innovazione non avrebbe mercato ovvero acquirenti. Nel secondo, diventerebbe obsoleta e, ancora più probabile, superata da competitor che sono riusciti a muoversi prima. Il potenziale business si trasforma, così, in un (sicuro) fallimento. - Non avere un team smart almeno quanto il founder.
Sono le persone, in ogni impresa, a fare la differenza nella fase di execution ovvero nel trasformare un’idea in un progetto d’impresa strutturato e in un successo. Avere all’interno della startup un team multidisciplinare e con tutte le competenze necessarie per creare e sviluppare un business è fondamentale, perché permette di curarne tutti gli aspetti strategici, di non perdere tempo nella ricerca di chi potrebbe fare cosa e di attirare l’attenzione degli investitori che guardano molto attentamente a questo aspetto. É importante, però, che si crei sintonia tra i membri del team, in modo che credano almeno quanto il founder nel progetto d’impresa e che siano disposti a ritmi di lavoro non propriamente tradizionali. E lo è anche avere un co-founder cioè una persona con cui condividere responsabilità e sacrifici. Come afferma Guy Kawasaki nel suo libro The art of the start 2.0, “Recruit to build, not to fund” cioè non basta scegliere un co-founder solo perché investe soldi nella startup ma è necessario che condivida la vision che è alla base. Un altro aspetto, ancora sottovalutato nella formazione di un team, è la presenza di donne che, con le loro soft skill e la loro influenza nelle decisioni di acquisto, possono farsi portavoci delle esigenze della società e dare spunti per la creazione di nuovi prodotti e servizi. - Non avere o non saper fare un Business Model.
Se l’idea è innovativa, per capire se può trasformarsi o meno in business, è necessario fare “due calcoli” ovvero capire quanto quell’idea sia scalabile e come possa generare utili. Serve cioè un modello di business che raccolga tutte le informazioni più importanti per capire se è il caso o meno di fondare una startup: segmentazione dei clienti, value proposition ovvero la proposta di valore che offriamo per rispondere a un’esigenza, canali di comunicazione per raggiungere il target, azioni e strumenti per costruire e mantenere un rapporto con i clienti, il flusso di cassa generato dalla vendita del prodotto o servizio cioè come monetizzarlo; risorse (fisiche, intellettuali, umane e finanziarie), attività e partner chiave per dare sostenibilità al business e renderlo competitivo e il totale dei costi sostenuti. La regola del successo, per una startup è: costi minori dei ricavi. - Non sapere come (auto)finanziarsi.
Tra i benefici offerti alle startup innovative, c’è l’accesso semplificato, diretto e gratuito al Fondo Centrale di Garanzia ma le banche non sono il solo “tesoretto” a cui attingere. Esistono altre fonti, almeno nella fase di start, che possono venire in aiuto: l’autofinanziamento, che però non dovrebbe durare a lungo altrimenti diventa complicato passare allo scale up; le 3F, cioè Family, Friends e Fools, ovvero le persone più prossime (o più folli) che possono sostenere la startup, senza chiederne quote societarie. Ma anche premi, competition, bandi pubblici (spesso più sostanziosi dal punto di vista della dotazione finanziaria ma poco snelli dal punto di vista burocratico), piattaforme di crowdfunding e investitori privati aperti alla fase di early stage.