Un report da quasi 500 pagine contro i monopoli. Le multinazionali tech attendono il 3 novembre…
La campagna elettorale in piena emergenza pandemia e il presidente che continua a negare la gravità della situazione. Come se questo non bastasse, il dibattito pubblico negli USA si è arricchito con una novità per i Big Four. Stiamo parlando di Google, Facebook, Amazon e Apple, giganti tech della Silicon Valley i cui CEO, a fine luglio, avevano dovuto partecipare a un’audizione in streaming al Congresso degli Stati Uniti. Materia del contendere: il loro strapotere e cosa fare per cambiare o mitigare le condizioni di oligopolio (se non addirittura monopolio). Nelle ultime ore il Congresso ha pubblicato quasi 500 pagine di report in cui si arriva a una conclusione drastica (sulla carta): i giganti vanno scorporati in una sorta di spezzatino.
USA: un ottobre di fuoco
Il 3 novembre sono in programma le elezioni americane, forse le più importanti della storia recente. I casi Huawei e TikTok hanno mostrato quanto la tecnologia sia diventata un argomento di dibattito e di scontro tra le opposte fazioni. Il caso dei Big Four e della regolamentazione del mercato tech ha forse scaldato meno i cuori, ma è centrale per capire che piega prenderà questo percorso. Si farà sul serio? Quel che è certo è che dovremo aspettare di sapere chi sarà l’inquilino della Casa Bianca per i prossimi quattro anni.
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Cosa dice il report
«La nostra indagine ha rivelato un modello allarmante di pratiche commerciali che degradano la concorrenza e soffocano l’innovazione». Questo è soltanto uno dei tantissimi passaggi del report in cui la politica USA ha messo nero su bianco la situazione attuale vista dal Congresso. I giganti della Silicon Valley, idolatrati fino al decennio scorso come modello di impresa, oggi rappresenterebbero non un freno, ma il freno al mercato. Per Amazon c’è l’accusa di monopolio su fornitori e venditori terzi; Facebook è stata presa di mira anche per essersi comprata il concorrente Instagram; su Apple c’è il tema dell’App Store e della tassa del 30% per accedervi che ha scatenato quest’estate la querelle con Epic Games attorno al videogioco Fortnite (per chi non conosce la storia qui un bel riassunto); infine Google, il motore di ricerca per eccellenza da cui passa ogni informazione e pubblicità online.
La strada per scorporare i Big Four è in salita. Il candidato dem Joe Biden si è già detto a favore di una regolamentazione del mercato e perfino di un’azione che scorpori queste multinazionali. Ma è anche vero che la sua vice, Kamala Harris, è un politico californiano molto vicino alla Silicon Valley. Nella El Dorado dell’innovazione, l’attuale presidente Trump non ha molti amici – Oracle è uno dei pochi – ma i repubblicani si sono già espressi su posizioni più di mediazione rispetto ai democratici che, archiviate le lune di miele dei tempi di Obama, ora chiedono più regole per le startup di un tempo.
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La difesa
Dal canto loro i Big Tech non si sono scomposti più di tanto. TechCrunch ha elencato le loro reazioni ufficiali: la Silicon Valley rimanda al mittente ogni accusa. Amazon, Facebook, Google e Apple sostengono da sempre di essere attori di un mercato globale dove non sarebbero affatto gli unici giocatori della partita. Le loro storie sono storie di successo a stelle e strisce. Dall’azienda di Murk Zuckerberg si è arrivati addirittura ad accusare il regolatore pubblico: se oggi fa scandalo l’acquisizione di Instagram e WhatsApp, chiedono da Menlo Park, perché allora non fu impedita?
Google ha messo in mezzo perfino gli americani per difendersi dalle accuse. «Loro non vogliono che il Congresso distrugga i prodotti di Google o danneggi i servizi gratuiti che utilizzano ogni giorno. L’obiettivo della legge antitrust è proteggere i consumatori, non aiutare i rivali commerciali», si legge in un comunicato citato su TechCrunch. Insomma, il mantra dei giganti resta “Libera impresa in libero Stato“.