Il mercato dell’accumulo vola con la transizione energetica. E GES (Green Energy Storage) apre un round per crescere e sfidare i competitor globali
L’accumulo energetico è uno dei colli di bottiglia delle rinnovabili. In gergo tecnico, sole e vento sono fonti intermittenti: significa, banalmente, che di notte non c’è luce e il vento non sempre soffia come vorremmo. Per poter pensare a un’economia basata sulle fonti verdi, diventa, così, centrale il tema dell’accumulo di energia, da rilasciare quando possibile.
I metodi messi a punto dagli ingegneri sono svariati. C’è, ad esempio, quello idroelettrico: si pompa acqua in alto con l’energia in eccesso, per poi farla ricadere nelle condotte forzate e quindi ritrasformare il moto in energia alla bisogna. Controintuitivo, ma efficace. Dove mancano acqua e dislivelli, si può far ricorso all’aria compressa, stoccata in ex giacimenti di gas: il rilascio controllato va ad attivare le turbine, e il gioco è fatto.
E le “classiche” batterie? Non è così semplice. Dati i volumi in gioco, si parla di installazioni di dimensioni gigantesche, che devono essere capaci di “sostenere” la rete nei momenti di picco dei consumi. Dai costi di costruzione, manutenzione e smaltimento passando per le difficoltà di approvvigionamento di metalli rari, si tratta di una strada difficile. Su cui, non a caso, si stanno concentrando le ricerche dei lavoratori di tutto il mondo.
Del resto, esiste un vantaggio importante: la risposta ai bisogni, che nel caso dell’idroelettrico o dell’aria compressa richiede secondi o minuti, in questo caso, è pressoché immediata. Insomma, energia pronta, proprio quando serve.
Una startup trentina delle batterie
Tra le realtà italiane più promettenti c’è senz’altro GES (Green Energy Storage), PMI innovativa trentina fondata da Salvatore Pinto (un presente nell’energia e un lungo passato tra Olivetti, Telecom e Pirelli) e guidata da Matteo Mazzotta. Nata nel 2015, ha una bella storia fatta di ricerca e sviluppo che l’ha già inserita nei radar dell’Unione Europea pur non essendo ancora arrivata al mercato.
Dopo aver ottenuto in licenza esclusiva un brevetto da Harvard su una tecnologia di accumulo basata sul chinone, GES ha sviluppato da zero un primo progetto industriale, poi abbandonato per i rally del mercato delle commodities.
“Ma è stata un’esperienza fondamentale – spiega l’ad Mazzotta a StartupItalia – Oggi lavoriamo su una tecnologia simile: anche in questo caso si tratta di una batteria a flusso, nonostante la definizione ci vada un po’ stretta perché siamo riusciti a ottenere una densità fino a tre volte superiore al migliore competitor, che è il vanadio”.
Oggi, prosegue Mazzotta, il mercato dell’accumulo vola: ma stanno cambiando anche le caratteristiche della domanda, che si sposta verso durate superiori a quelle garantite dal litio, “inefficiente oltre le quattro ore”.
“La piattaforma a idrogeno permette di gestire diversi tipi di chimiche green, per gestire la volatilità dei prezzi ed evitare a monte i rischi geopolitici insiti in uno scenario postglobalizzazione”.
Batterie a idrogeno: lo scenario e i competitor
Il funzionamento ricorda in tutto e per tutto quello dei normali accumulatori impiegati in casa. Cambia, ovviamente, la scala.
“Quando si collega le batteria alla fonte rinnovabile o alla rete elettrica, l’energia fa ‘trasformare’ l’elettrolita in idrogeno, che poi si ‘ritrasforma’ nell’elettrolita iniziale – spiega il manager salentino -: significa che, rispetto alle altre batterie a flusso, non abbiamo il costo d’acquisto di uno dei due elettroliti, sostituito dall’idrogeno autoprodotto”.
Competitor? “Ce ne sono, certo. Ma questo, nella nostra interpretazione significa che siamo nella direzione giusta“. Come l’olandese Elestor, che produce batterie a idrogeno e bromo, “elemento quest’ultimo che abbiamo abbandonato per i costi ambientali e le difficoltà dal punto di vista chimico”; oppure Enervenue, che punta sull’idrogeno e nichel, è poco più che una startup ma appena nata ha già raccolto 100 milioni di dollari. “Abbiamo studiato la loro tecnologia, ma pensiamo di avere qualcosa in più in termini di densità e minor impatto ambientale”.
Una public company in cerca di investitori
Intanto, GES ha già ottenuto 53 milioni da un bando europeo, veicolati dal MISE. Aiuto di Stato? “C’è una deroga, perché l’UE ritiene il settore strategico” afferma l’ad. Che spiega come GES abbia in corso un aumento di capitale, già sottoscritto da molti degli attuali soci ,“ma aperto fino a luglio anche a terzi”.
“Stiamo negoziando con diversi fondi e investitori privati” riprende il manager. Non è solo questione di liquidità. “L’ideale per noi sarebbe identificare partner capaci di supportarci non solo dal punto di vista finanziario, ma anche industriale e commerciale”.
L’azienda, in passato, si è finanziata attraverso due crowdfunding. “Possiamo definirci sostanzialmente una public company, con più di ottocento investitori. Siamo abituati a ragionare come tale, cioè in maniera strutturata. Inoltre, dalla rete dei soci provengono sempre raccomandazioni, spunti, e persino qualche fornitore”.
GES, precisa Mazzotta, non è ancora sul mercato: la prima soluzione sarà disponibile, secondo i piani, nel giro di un paio d’anni.