Ce lo spiega Patrizia Caraveo, Dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Astrofisica
Il Sole è una stella viva, che produce l’energia necessaria alla nostra vita. Dal quattro secoli, sappiamo che la una attività non è costante, ma varia ciclicamente con un periodo di 11 anni. Sovrapposti al ciclo, troviamo episodi tempestosi, noti appunto come tempeste solari, che liberano nuvole di particelle accelerate che si propagano nello spazio interplanetario seguendo delle invisibili autostrade magnetiche che regolano il traffico del sistema solare.
© ESA
A causa della rotazione del Sole, le autostrade hanno una struttura spiraleggiante che si sviluppa nel piano Terra-Sole, che gli astronomi chiamano il piano dell’eclittica. Le autostrade magnetiche sono percorse dal vento solare, il flusso di energia e particelle che il Sole libera in continuazione e che governa lo spazio interplanetario.
© ESA
A volte, al flusso normale si sommano eventi più intensi, ma non tutti percorrono carreggiate che intercettano la Terra. Spesso noi vediamo esplosioni spettacolari sul Sole ma poi non veniamo colpiti. Conoscendo l’attività del Sole e le autostrade interplanetarie è possibile fare previsioni. E’ quello che si chiama il tempo spaziale, lo Space Weather che ci dice se (e quando) la Terra potrebbe essere colpita da una tempesta solare. Non sono eventi pericolosi per noi che viviamo sulla Terra, protetti dall’atmosfera e dal nostro prezioso campo magnetico, ma possono essere molto preoccupanti per gli astronauti e possono danneggiare i satelliti in orbita, satelliti che noi usiamo continuamente, se molto spesso non ce ne rendiamo neanche conto. Prevedere il tempo nello spazio è quindi molto importante e lo si fa con satelliti al lavoro in orbita terrestre o, più in generale sul piano dove si muove il vento solare.
© ESA
Tuttavia, la fisica solare è governata dal campo magnetico e lo studio della struttura del campo magnetico si fa guardando i poli del Sole dove si concentrano le linee di forza del campo magnetico solare che si inverte ogni 11 anni (il polo Nord diventa il polo Sud).
Riassumendo, per capire il Sole bisogna seguire un approccio tridimensionale.
Lungo l’equatore, quindi sul piano dell’eclittica, si studia il vento solare, mentre è guardando i poli che si capisce di più della fisica del magnetismo solare e della sua ciclica inversione.
Leggi anche: Elon Musk vuole spedire un milione di persone su Marte
All’Europa il Sole piace studiarlo sia sul piano equatoriale sia da orbite inclinate che permettono di vedere i poli. Lo ha fatto con la missione Ulysses, lanciata nel 1990 ed attiva fino al 2008, che ha misurato l’emissione di particelle dai poli del Sole senza però fare immagini, e si appresta a rifarlo con la missione Solar Orbiter, partita da Cape Canaveral all’alba di lunedì 10 febbraio. Entrambe sono collaborazioni tra ESA e NASA che ha fornito il lancio. Ulysses venne lanciato dallo Shuttle mentre Solar Orbiter è partito da Cape Canaveral.
© ESA
In effetti, Solar Orbiter si appresta a fare una missione veramente 3D perché inizierà la missione con una fase equatoriale, che andrà da Novembre 2021 al 2025, poi si passerà alla fase polare.
Studiare i poli del Sole non è semplice, perché richiede che la sonda descriva un’orbita fuori dal piano dell’eclittica e, quando si lancia una sonda dalla Terra, la meccanica celeste privilegia orbite che giacciono sul piano dell’eclittica. Per allontanarsi, occorre energia e, per evitare di partire con pesanti serbatoi, le sonde devono sfruttare la fisica dell’effetto fionda. Si tratta di pianificare con grande accuratezza il sorvolo di pianeti che faranno deviare l’orbita della sonda a spese del loro campo gravitazionale. Si chiama manovra di fly-by ed è usata molto spesso per ottimizzare le orbite delle sonde interplanetarie. Si allungano i tempi di percorrenza ma si risparmia carburante, quindi preziosissimo peso alla partenza. Solar Orbiter farà diverse manovre di fly-by sfruttando passaggi ravvicinati alla Terra ed a Venere. Dopo avere raggiunto l’orbita desiderata (dove arriverà a 48 milioni di km dal Sole) nel piano dell’eclittica nel 2022, saranno due fly-by di Venere programmati a partire dal 2025 a inclinarla spostandola di una trentina di grandi, abbastanza per studiare i poli solari.
La sonda (in bianco) si muove contro lo sfondo delle orbite di Mercurio, Venere e Terra. Le date nel riquadro a destra sono quelle dei fly-by gravitazionali
Solar Orbiter non sarò solo nello studio ravvicinato del Sole. La NASA ha già lanciato il Parker Solar Probe che opera sul piano dell’eclittica e descrive orbite sempre più vicine al Sole ma non ha strumenti per fare immagini del Sole. Vale la pena di ricordare che il Parker solar Probe è l’unica missione spaziale dedicata ad uno scienziato ancora in vita. La NASA ha voluto rendere omaggio al prof Eugene Parker che cinquanta anni fa ha rivoluzionato la fisica solare.
Il Professor Parker è entusiasta dei primi risultati della sua sonda e sa che, man mano che si avvicinerà al Sole (come si vede nella sequenza prevista per le sue orbite ellittiche) le sorprese non mancheranno, anche se la sonda verrà messa a dura prova dall’ambiente sempre più infernale che si troverà ad attraversale. Si affida ad uno scudo termico fatto di fibra di carbonio e di vuoto per resistere alla temperatura di fusione dell’acciaio.
© ESA
Solar Orbiter, invece non si avvicinerà così tanto. Nel 2022 si troverà ad una distanza di poco inferiore a quella di Mercurio dove la temperatura è di circa 500 gradi. E’ un ambiente meno torrido di quello attraversato dalla sonda Parker, ma anche lì gli strumenti non possono operare senza protezione. Tutti gli strumenti di Solar Orbiter sono nascosti dietro uno scudo termico di tungsteno spesso 40 cm che deve assorbire e disperdere i 500 gradi ambientali per mantenere la strumentazione a non più di 50 gradi.
© ESA
Nello scudo termico sono stati fatti alcuni forellini che devono lasciare passare la luce che gli strumenti vogliono analizzare senza però farsi scaldare troppo. Uno degli strumenti, che si chiama METIS, è stato realizzato in Italia da colleghi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, del CNR e di diverse università. Inoltre la nostra comunità è coinvolta in diversi degli altri strumenti della sonda che spieranno il Sole da piccoli buchi di serratura, solo così possono sperare di sopravvivere per molti anni.
© ESA
Solar Orbiter e il Solar Parker Probe opereranno in stretta collaborazione tra loro e con gli strumenti a Terra come il nuovissimo Daniel Ken Inouye Solar Telescope (Dkist) appena entrato in funzione a oltre 3.000 metri di quota in cima al vulcano Haleakala sull’isola di Maui, alle Hawaii. Il nuovo telescopio solare ha uno specchio di 4 m di diametro, molto più grande degli specchi di tutti gli altri telescopi solari già in funzione, che si fermano a 1,5 m di diametro.
© ESA
Si capisce, quindi, che Dkist veda meglio di tutti gli altri strumenti e sia capace di cogliere dettagli che fino ad oggi erano irraggiungibili. La sua prima ripresa dei granuli continuamente mutevoli che danno alla superficie del Sole un caratteristico aspetto maculato è la più dettagliata mai ottenuta, ma non dobbiamo pensare che operare un grande telescopio solare sia facile.
La migliore e più dettagliata immagini della superficie del Sole ottenuta dal telescopio DKIRT
La luce è energia e avere un grande specchio primario implica un altrettanto grande problema di raffreddamento. Bisogna evitare che la luce raccolta e focalizzata dallo specchio fonda gli strumenti. A questo fine, è stato realizzato un complesso sistema di raffreddamento che si sviluppa su 10 km di tubature che fanno circolare liquido raffreddante. La sorgente del freddo è il ghiaccio che viene prodotto in loco durante la notte.
Per studiare il Sole senza farsi bruciare bisogna essere esperti nel raffreddamento, è questo il segreto alla base dell’epoca d’oro degli studi solari che sta iniziando.