L’ammiraglia cinese è in vendita in Italia, senza servizi Google. O quasi: perché installarli è davvero semplice. Anche senza, comunque, è uno smartphone davvero interessante
Il Mate 30 Pro è il primo device importante di Huawei ad essere stato lanciato dopo il bando USA, bando che impedisce all’azienda cinese di acquistare le licenze Android per i suoi smartphone: è il più potente e avanzato telefono mai realizzato da Huawei, con una fotocamera notevole, autonomia ai vertici della categoria, potenza da vendere grazie al processore Kirin 990. Gli manca davvero solo la ciliegina sulla torta per essere il più formidabile concorrente del settore: ma non è necessariamente questo che dovrebbe scoraggiare l’acquisto. Com’è nella vita di ogni giorno usare il Mate 30 Pro come il proprio telefono principale?
Il primo contatto
A bordo di Mate 30 Pro, le cui specifiche vi abbiamo già descritto in occasione del lancio, troviamo l’ultima versione disponibile di Android: la 10, al momento in cui scriviamo aggiornata regolarmente con le patch di novembre 2019 (non le ultimissime: ma gli aggiornamenti in questo senso arrivano costantemente). Come interfaccia c’è ovviamente la EMUI di Huawei, anch’essa giunta al numero 10, con qualche dettaglio sfizioso in più rispetto a quanto già visto su altri terminali della casa di Shenzhen (su tutti: AOD dotato di grafiche colorate, come Samsung fa ormai dall’S8, e la scheda del Huawei Assistant piazzata a sinistra della home, come già succede su OxygenOS di OnePlus). Le procedure di avvio del terminale non sono molto diverse da quelle di qualsiasi altro telefono Android: si configura il WiFi, si decide se importare i salvataggi da un precedente backup e si accettano le solite clausole sulla privacy identiche a qualsiasi altra situazione.
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Ovviamente manca un passaggio: non c’è bisogno di inserire le credenziali del proprio account Google, semplicemente perché tutto il panorama dei servizi e delle app Google non c’è (almeno inizialmente) sul telefono. Di serie si deve optare per App Gallery, lo store di Huawei, oppure su uno dei sistemi alternativi per scaricare le app sul proprio telefono: su App Gallery c’è molto, parecchio di più di quanto non ci fosse solo qualche mese fa (a dimostrazione che Huawei ci si è messa d’impegno a cercare di convincere gli sviluppatori), ma non c’è ancora tutto. Se avete voglia di smanettare un po’ potreste decidere di installare un marketplace alternativo come APKpure: lì trovate di tutto, il Mate 30 dà anche una mano facendo una verifica sulla integrità del software prima di installarlo, ma non è la fonte più ortodossa per le app. Se volete restare sul sicuro, potreste installare da App Gallery un antivirus (Kaspersky è già presente in App Gallery).
Altro metodo interessante è utilizzare l’utility Phone Clone sviluppata dalla stessa Huawei: è la stessa che c’era anche prima del bando su tutti i terminali di casa, e con quella oltre ai contatti e le foto si possono spostare anche le app. Questo metodo funziona bene, e le uniche app che non vengono trasferite sono in pratica quelle di Google: di positivo c’è che ci si ritroverà sul telefono non solo praticamente tutte le applicazioni che avevamo sul vecchio telefono, ma pure gli eventuali salvataggi dei giochi e tutto quanto c’era sul precedente terminale in termini di impostazioni. Usando così il Mate 30 Pro funziona tutto: home banking, SPID, streaming. Fa eccezione solo qualcosa, a causa probabilmente di una impostazione in stile whitelist per quanto attiene i modelli abilitati, ma è questione di giorni e c’è da scommettere che il Mate 30 sarà anch’esso tra i device abiltitati.
Per cominciare, vale la pena mettere alla prova le app native di Huawei: come il Browser, che è basato sullo stesso motore di Chrome e a Chrome non ha niente da invidiare in fatto di funzioni o velocità (anzi, in certi contesti è anche più semplice da usare: per impostare le preferenze di visualizzazione sito per sito, ad esempio, o per attivare la modalità incognito). Anche Huawei Video, dal suo lancio, è migliorata tanto da essere ormai comparabile con altre piattaforme analoghe: anzi i prezzi di noleggio dei titoli sono anche piuttosto vantaggiosi in alcuni casi, segno che probabilmente Huawei sta spingendo su questa piattaforma, e il catalogo ormai è comparabile a quello di tutte le altre. Per il backup si può anche acquistare spazio sul cloud di Huawei: prezzi in linea con gli altri servizi analoghi.
Qualche giorno di utilizzo evidenzia dove si sente davvero la mancanza di Google. Se usate Google Pay, mi spiace ma al momento non funziona su Mate 30: dovrete ripiegare su forme più arcaiche di pagamento come la carta di credito di plastica, visto che Huawei Pay non è ancora arrivata (ci siamo quasi, filtra da indiscrezioni interne all’azienda). Un altro paio di problemi li abbiamo riscontrati con app che utilizzano in modo massiccio i Google Mobile Services (GMS), come Deliveroo che si rifiuta categoricamente di avviarsi, o con alcuni giochi che dicono di volere i GMS a bordo per funzionare ma che poi in realtà funzionano alla grande anche senza. Altre app non comunicano errori, ma nella pratica non girano al meglio: magari attingono a determinati servizi senza che sia evidente all’utente. Non si può certo dire che sia l’esperienza d’uso ottimale, ma non è neppure tragica come qualcuno la dipinge.
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Per il resto funziona quasi tutto: Facebook, Instagram e WhatsApp non si appoggiano in nessun modo evidente a Mountain View, su App Gallery trovate pure ottime app come Moovit che hanno già adottato pienamente i Huawei Mobile Services (HMS) e offrono un’esperienza assolutamente valida senza limitazioni. Nel giro di un paio di settimane di consultazione più assidua della App Gallery abbiamo visto comparire molte novità interessanti, sia tra le utility che tra le app di intrattenimento: di nuovo, l’impressione è che Huawei stia spingendo parecchio sull’acceleratore facendo leva sul suo piano miliardario di promozione di HMS. Per completare il cerchio servono le mappe e i pagamenti, promessi per l’inizio del 2020 (quindi siamo ancora in tempo), e una gestione più chiara del cloud di casa: a quel punto usare un Huawei equivarrebbe come esperienza a stare su iCloud di Apple, non un modo cattivo di usare uno smartphone.
Se proprio vi manca Google
Esistono almeno un paio di metodi diversi per far sì che un Mate 30 Pro risulti in tutto e per tutto (meno un dettaglio) uno smartphone Android con tutti gli optional: le operazioni per installare i GMS non impegnano più di 5 minuti, richiedono una pratica minima col cellulare, e l’unica cosa che non siamo riusciti a far funzionare dopo l’installazione è stata Google Pay (perché il telefono non è inserito nella white-list dei terminali abilitati). Non è una procedura ortodossa, e la sua legalità è discutibile: ma è una procedura possibile, e ciò dimostra una volta di più che Android è ancora saldamente alla base dei prodotti Huawei.
L’operazione va effettuata a telefono nuovo, o appena riportato alle condizioni di fabbrica: ammesso che lo facciate appena acquistato, nel tempo che impieghereste a fare colazione avrete da subito un telefono in tutto e per tutto identico a qualsiasi altro Android in circolazione. Non servono davvero più di 5 minuti a completare il tutto.
Ora avete tra le mani un telefono con le stesse capacità di qualsiasi altro telefono Android: potrete installare e aggiornare app da Play Store, potrete usare le Mappe di Google se proprio non potete farne a meno, tutte le app che si appoggiano ai GMS funzionano senza problemi particolari. Siete liberi di usare il telefono come meglio credete, e gli aggiornamenti del sistema operativo che invierà Huawei (uno è arrivato proprio nelle scorse ore) non alterano in nessun modo questa situazione. Tutto è bene quel che finisce bene, insomma: il punto è che in queste condizioni ci si rende conto davvero di cosa valga questo Mate 30 Pro in termini di prestazioni e qualità, e che svantaggio sia per i consumatori non avere la possibilità di comprarne uno così direttamente in negozio.
Come va (davvero) il Mate 30 Pro
La prima cosa che colpisce del Mate 30 Pro è ovviamente lo schermo: l’effetto cascata dei due lati lunghi, che spingono la curvatura dello schermo fino a 88 gradi e fanno quasi sembrare che il display avvolga per intero il dispositivo, è una trovata scenica notevole che fa molto effetto e rendere anche piacevole da impugnare il Mate. Huawei ha studiato abbastanza bene il tutto: in pratica i due bordi sono gestiti in modo egregio per evitare che afferrandolo si possa effettuare dei tocchi inconsulti, mentre per regolare il volume bastano due tap su un bordo per far venire fuori il solito slider di Android.
Altri elementi caratteristici del design sono la tacca (notch) sulla parte alta del display e la fotocamera posteriore. Il notch è poco più grande dello scorso anno in larghezza, ma più sottile: non ci facciamo quasi più caso, ormai, e al suo interno oltre a una fotocamera da 32mpx ci sono tutti quei sensori necessari a sbloccare il telefono con il viso mediante un sistema di riconoscimento 3D, oltre che utilizzare alcune gesture senza neppure toccare il telefono (funzionano meglio che su LG, bene come sul Pixel 4, ma sono assolutamente trascurabili nella vita di tutti i giorni). Il display è un 6,5 pollici OLED di ottimo livello, come già su P30 Pro.
Sul posteriore la fotocamera quadrupla quest’anno è racchiusa in un anello (invece che un quadrato): la scelta di dotarsi di due sensori 40 megapixel per grandangolo e ultra-grandagolo (più 8mpx per lo zoom 3x e il sensore TOF) ha reso meno estremo l’angolo di visione quando si effettuano riprese a campo largo, ma ha migliorato drasticamente la resa degli scatti in ogni condizione di luce. Rispetto al P30 Pro, il Mate cede qualcosa sullo zoom (non ha il periscopio): ma le foto hanno un ottimo bilanciamento dei colori, vengono bene anche alla sera sia con la lente principale SuperSensing che con la Cine Camera con l’ultra-grandangolo, e la stabilizzazione ottica su entrambi i sensori restituisce video molto fluidi e di buona qualità anche a 4K. Soprattutto alla sera sembra che il Mate riesca a restituire una scena più verosimile, frutto evidente dell’esperienza accumulata. Migliorata anche la gestione dello zoom: ora è decisamente meno a scatti che sul P30, ma ancora non possiamo definirlo fluido. Suggestivo, ma resta da capire cosa serva, lo slow-motion da 7.680fps.
L’adozione del secondo sensore da 40mpx ha ridotto l’effetto ultra-grandangolo ma ha migliorato la qualità alla sera in tutte le situazioni
Batteria integrata da 4.500mAh e Kirin 990 fanno un ottimo lavoro insieme: potenza da vendere e autonomia ottima. Se proprio dovessimo cercare il pelo nell’uovo dovremmo dire che manca il jack per le cuffie, ma questa ormai è una rinuncia comune a quasi tutti i top di gamma, e l’audio è solo mono visto che c’è solo un altoparlante a bordo. Lo storage da 256GB è fulmineo, 8GB di RAM bastano e avanzano per tutto: anzi da provare assolutamente la modalità desktop, che non è una novità ma che è davvero super-fluida (e utile in certi contesti). Inutile aggiungere che ovviamente sul piano connettività non si fanno compromessi: la versione in prova non è 5G ma è comunque un LTE Cat.21 (fino a 1,4Gbit), dispone di Bluetooth 5.1, infine ormai abbiamo perso il conto da quanti elementi è formata l’antenna installata (tanti: e si vedono tutti se badate alla qualità della ricezione del segnale).
Allora, lo compro?
A 1.099,90 euro di prezzo di listino, il Mate 30 Pro è uno dei telefoni più costosi in commercio. Tanto di cappello a Huawei per aver deciso di venderlo anche da noi: è stato un gesto coraggioso, che tuttavia fa parte di un calcolo preciso per dimostrare due asserti. Il primo, e non c’è dubbio alcuno su questo, è che Huawei è in grado di progettare e realizzare tra i migliori smartphone su piazza: il Mate 30 Pro è uno dei cinque migliori smartphone del 2019 (e pure di inizio 2020, in attesa di novità al Mobile World Congress), con una fotocamera che è tecnicamente più che impressionante e un’autonomia esaltata anche dal sempre comodo sistema di ricarica ultra-rapido SuperCharge. Mancano i servizi Google quando acquistate il telefono, ma come abbiamo visto è questione di pochi passaggi installarli a bordo.
L’altro obiettivo di Huawei, non dichiarato, è mostrare i muscoli e dimostrare che c’è vita e ci sono molte opportunità anche al di fuori del giardino di Google: entro la prossima primavera si completerà l’offerta dei Huawei Mobile Services, che finalmente comprenderanno anche il sistema di pagamento e le mappe, e a quel punto forse vedremo qualcosa di cui il mondo degli smartphone ha sicuramente bisogno. Ovvero un terzo concorrente oltre a Cupertino e Mountain View, un concorrente capace di offrire una piattaforma completa ai consumatori: più concorrenza significa più innovazione, basti vedere come è migliorato iOS dopo il lancio di Android, e per il cliente finale ciò si traduce anche in maggiore qualità a costo più basso.
Se siete in cerca di uno smartphone di fascia alta, e non avete problemi a “smanettare” col software seguendo una guida trovata online o attingendo a store alternativi per le app, allora il Mate 30 Pro è già pronto per voi: vi toglierete parecchie soddisfazioni. Se invece la vostra ricetta ideale è più chiavi-in-mano che fai-da-te, dovrete avere un po’ di pazienza: quanto si vede oggi in embrione su questo smartphone arriverà a piena maturazione nel corso del 2020, anno nel quale Huawei proporrà senz’altro uno accanto all’altro telefoni GMS e HMS (con e senza Play Store, insomma). C’è da scommettere che già alla fine di marzo, con il lancio del P40, tutto o quasi sarà già al proprio posto. E poi, dovesse cadere il bando, basterà un aggiornamento OTA per trasformare ufficialmente questo Mate 30 Pro e far finta che niente di tutto questo sia mai successo.
Alla fine di quest’anno tireremo le somme e capiremo dove è arrivato l’ecosistema Huawei: con la speranza che nel frattempo, magari, ci saremo lasciati alle spalle questo bando assurdo in un modo o nell’altro. È davvero paradossale che oggi i consumatori siano limitati nelle proprie scelte del prossimo smartphone per via di accuse non provate riguardo la privacy, e che tutto dipenda da un accordo sulle esportazioni di soia dagli Stati Uniti alla Cina.