Un’indagine ad Austin, in Texas, scova 20 feriti ogni 100mila noleggi. Tanti o pochi? Ecco quali sono gli infortuni più frequenti e le cause, dall’alcol alla velocità
In Italia le sigle pronte a partire sono molte: da Flash a Dott passando per Lime, Helbiz e molte altre, spesso legate a giganti come Uber e ai produttori di automobili. Invaderanno le città dei loro monopattini elettrici in condivisione, molto utili per l’ultimo miglio – per esempio dalla fermata della metropolitana a un indirizzo specifico – o anche per visitare le città da un punto di vista diverso. Molte metropoli internazionali sono già piene: è il caso di Parigi, dove in effetti forse di “scooter” ce ne sono un po’ troppi.
In Italia il settore è in (ormai molto lunga) attesa di un decreto attuativo che fissi i criteri specifici del loro utilizzo: che stabilisca cioè dove potranno circolare, se sarà necessario utilizzare il casco e così via. Intanto, però, qualcuno inizia a domandarsi se non ci si possa anche fare male, con quei simpatici trabiccoli che sfrecciano anche a 30 km orari, spesso zigzagando in modo spericolato fra auto e pedoni. Tanto che negli Stati Uniti hanno pensato di commissionare uno studio molto preciso sulle possibili conseguenze degli incidenti.
Lo studio ad Austin
L’indagine, condotta dal Public Health and Transportation departments di Austin, in Texas, in insieme al Centers for Disease Control and Prevention, ha conteggiato ben 271 incidenti avvenuti fra il 5 settembre e il 30 novembre dello scorso anno solo nella metropoli texana. Un’indagine evidentemente di portata limitata ma fondamentale per capire dinamiche e possibili sviluppi ovunque questi mezzi raggiungano una diffusione significativa.
L’indagine, presentata all’Epidemic Intelligence Service conference di Atlanta, dunque divenuta subito testo scientifico di riferimento, si è basata su un totale di 182.333 ore di uso dei monopattini elettrici, 891.121 miglia percorse nel corso di 936.110 noleggi. Il team di ricerca ha infine stimato 20 feriti per 100mila viaggi nel corso di un periodo di tre mesi. Tanti o pochi? A quanto pare, potrebbero essere molti di meno.
Il problema del casco
Dei feriti, per esempio, quasi la metà ha battuto la testa e il 15% ha avuto traumi cerebrali di una certa entità. Basterebbe il casco per evitare quelle conseguenze eppure solo uno sui 190 feriti lo indossava. Primo punto: gli incidenti accadono soprattutto a chi non indossa le protezioni, in modo simile a quanto avviene in bicicletta. Quello su Austin, in particolare, è il primo studio a essere stato supervisionato da epidemiologi federali, dunque con un’attendibilità clinica decisamente più elevata.
Dove ci si fa male
Ma dove ci si fa male? Quasi la metà ha riportato un “infortunio severo”. Nell’84% fratture ossee, nel 45% dei casi problemi a tendini e legamenti, nel 5% dei casi ferite profonde e nell’1% dei casi danni agli organi interni. Non c’è stato nessun decesso ad Austin mentre le cronache ne hanno riportati in giro per il Paese. La gran parte degli incidenti sembra capitare in strada (55%), un terzo (il 33%) sui marciapiedi e nel 16% dei casi sono le auto o altri veicoli a motore a provocare lo scontro anche se solo il 10% ci è finito contro. Segno che si tratta di sbilanciamenti, svolte improvvise, manovre effettuate per schivare un impatto e simili movimenti. Il 10% è finito addosso al cordolo del marciapiede e il 7% ha anche colpito oggetti come tombini o lampioni.
Le cause degli incidenti
Una curiosità? Un terzo dei rispondenti ha ammesso di aver assunto alcol nelle 12 ore precedenti all’infortunio e per il 37% la causa è stata l’elevata velocità con cui guidavano. Ma un allarmante 19% ha invece accusato il veicolo, notando per esempio un malfunzionamento a ruote e freno. Hanno dato il loro contributo anche la distrazione e la musica. A proposito di notte e giorno: solo il 39% degli incidenti è avvenuto di notte e, fatto non sorprendente, un terzo degli intervistati ha spiegato di essersi ferito alla prima corsa in assoluto. Anche sugli scooter, insomma, serve un po’ di pratica.