A 18 anni aveva inventato Dropbox prima di Dropbox, ma nessuno lo finanziò. Poi, quando con 2 amici ha lanciato Mashape, un marketplace dove gli sviluppatori vendono “pezzi” di software, ha scelto di lasciare l’Italia, destinazione San Francisco. L’idea piace, e ci credono anche il papà di Uber e quello di Amazon e oggi la sua azienda vale decine di milioni di dollari. No, non è un film: è la storia di Augusto Marietti
C’è un ragazzo, romano, che si iscrive all’università a Milano. A vent’anni ha un’idea di business e vuole fondare una startup. Inizia a lavorarci, con due amici-soci, in un garage. Ma le idee da sole non bastano: servono i soldi. Passa un anno a chiedere incontri a decine di investitori, che gli dicono “bravi, ma siete troppo giovani”. E nel 2010 decide di andarsene e lasciare l’Italia sbattendo la porta. Questa storia, quella di Augusto Marietti e della sua Mashape da sola varrebbe la sceneggiatura di un film, perché probabilmente è lui il primo vero startupper italiano di successo. Uno di quelli che è partito da zero e che ce l’ha fatta. Davvero.
Quando avevano inventato Dropbox, ma nessuno in Italia ci ha creduto
Un successo che poteva arrivare anche prima di Mashape. Lo stesso Marietti, poco più che diciottenne, aveva lanciato con Marco Palladino un sito internet: si chiamava MemboxX, ed era il primo sito italiano di online storage di documenti e password. Nello stesso anno dall’altra parte dell’oceano due giovani fondavano una startup identica, che però ha incontrato nel suo percorso Paul Graham, capo del più grande acceleratore d’impresa del mondo, Y Combinator. Quella startup era Dropbox, per dire.
Ad Augusto e Marco, invece, toccò una sorte diversa. Nessun finanziamento, nessun business. Ma la prima avventura (fallita) di MemboxX lascerà nei due giovani founders una cicatrice che, quando anche per Mashape sembrava tutto finito, gli tornerà utile. Perché il potenziale di scalabilità di questa nuova startup era enorme e, soprattutto, non c’era (ancora) neanche un competitor. Ed è in quel momento che… “boing!” scatta la molla del coraggio. Un momento che Marietti ricorda così, intervistato dal Corriere: «In quel periodo lessi Google e gli altri, che narrava nel dettaglio la storia di Google e della Silicon Valley. Avevo capito che dovevo avere il coraggio di andarmene».
“Un immigrato senzatetto italiano”
La sua bio su Crunchbase, la piattaforma che monitora tutti gli investimenti e la crescita delle tante startup in giro per il mondo, recita «before Mashape, Augusto was a SF homeless immigrant from Italy», “prima di Mashape Augusto era un senzatetto immigrato dall’Italia”. Un capoverso prima, però, c’è scritto: «l’obiettivo di Augusto è contribuire a creare la “API economy”, attraverso idee che cambiano il modo in cui i software sono sviluppati, usufruiti e distribuiti».
La rivoluzione delle API
Ovviamente non stiamo parlando di quelle mellifere. Le API (Application Programming Interface), spiegate in parole semplici sono uno strumento molto utile agli sviluppatori e si è andato via via affermando come uno “standard” nello sviluppo di applicazioni in un momento storico particolare dell’economia digitale, che potremmo definire “dall’iPhone in poi” o forse anche “da Facebook in poi”.
Prima i software, tutti i software, sin dai tempi di Dos e prima di Internet e delle reti, erano concepiti come monoliti: centinaia, migliaia, milioni e anche centinaia di milioni di righe di codice che “parlava” ad altro codice. E tutto all’interno di unico “recinto”. Poi, col passare degli anni, è aumentata la capacità di calcolo dei nostri computer ma sono cresciute anche le infrastrutture telematiche, spianando la strada al cloud, che porterà con se anche una re-ingegnerizzazione dei processi attraverso i quali le applicazioni sono sviluppate e dialogano tra di loro: inizia l’era dei “microservices” e delle interfacce che ne facilitano l’estensione. Le API, appunto.
Perché i microservizi diventano una manna dal cielo per tutti quelli che sviluppano applicazioni? Perché sono una enorme semplificazione e velocizzazione dei processi. Un po’ come pre-fabbricare pezzi di edilizia che possono essere “montati” sia all’interno di un’abitazione privata che di un grattacielo di 80 piani, piuttosto che un capannone industriale.
Così è nata Mashape, l’ebay degli sviluppatori
E lì, “il” momento in cui creare da zero qualcosa che faccia incontrare la domanda e l’offerta di software. Il momento in cui, “dopo l’iPhone e dopo Facebook” la tecnologia entra pervasivamente sempre di più nelle nostre vite, attraverso dispositivi che, per funzionare, non hanno più solo bisogno di hardware ed energia ma necessitano maledettamente e incessantemente di software, dal “banale” smartphone, al televisore, all’automobile. Il momento in cui le prime cinque industrie del mondo sono aziende digitali che trent’anni fa neanche esistevano. E’ quello il momento di crederci. E di andarsene: l’ebay degli sviluppatori non sarebbe mai potuto crescere in Italia.
«Cara Italia, se vuoi cambiare devi investire sui giovani, ma non come dicono i politici in tv. Ci devi investire veramente… Sono loro i primi che usano nuovi prodotti e sono i primi ad accorgersi dei nuovi problemi e creare quindi soluzioni. Tu sei un Paese pieno di persone che inventano tecnologie, ma la tecnologia da sola non serve a niente, diventa innovazione quando viene applicata sulla massa e il mondo è pieno di tecnologie potenti che non sono andate da nessuna parte. Buongiorno America, grazie di credere in noi. E nella nostra vision». Così avevano scritto i tre giovani founders in un post publicato su Tagliablog.
Quando tutto stava per fallire (e li salva il Ceo di Uber)
Augusto Marietti, Marco Palladino e Michele Zonca vanno a San Francisco. Senza soldi, senza una casa, si arrangiano come possono, dormendo in motel e mangiando riso e fagioli.
La svolta arriva quando vincono una sorta di “borsa di soggiorno” per promettenti startupper messa a disposizione dal papà di Uber, Travis Kalanick, che nell’aprile 2010. Sul conto corrente di Mashape c’erano gli ultimi 2 mila dollari quando nella “Jam Pad”, il dormitorio per le nuove aspiranti Facebook di Kalanick i tre italiani incontrano un gruppo di angel investors. Gli stessi che primi di tutti avevano creduto in YouTube.
L’incontro si svolge seduti sul materasso gonfiabile di uno dei tre founders e finisce con una stretta di mano. Arrivano i primi 100 mila dollari e, da lì, la favola di Mashape inizia a prendere, davvero il volo. E’ una crescita irrefrenabile, e tra gli investitori arrivano anche gli angels di Google, ebay, PayPal, Microsoft, Disney, fino al fondatore di Amazon, Jeff Bezos.
Tutti i numeri di Mashape (e il senso di questa storia)
Oggi la piattaforma di Mashape conta oltre 100 mila sviluppatori in tutto il mondo e vi lavorano una trentina di persone, tutte con meno di 25 anni, e il loro stipendio mensile va dai 10 ai 15 mila dollari.
Marietti non è più un giovane squattrinato. La sua startup, a differenza di altre startup-fuffa italiane che nel frattempo incontreranno più storytelling che clienti, ha macinato e macina fatture su fatture, utili su utili, e lui stesso ha iniziato a investire i propri soldi in altre startup. Il primo round da investitore lo ha chiuso a 22 anni, partecipando al seed da 1,6 milioni per Fobo. Il secondo e più importante, il suo primo series A, arriva a settembre 2015, dove è tra gli 8 investitori di Typeform (15 milioni). E un mese dopo con la sua Mashape compra un’altra startup, Gelato.io.
Nel momento in cui si è iniziato a raccontare il suo caso come quello di un cervello di fuga (e di successo) e quando alcuni anni fa l’allora premier Matteo Renzi ha effettuato il suo primo viaggio in Silicon Valley lui non lo ha incontrato. «Ci ho mandato uno dei miei soci. Avevo altri meeting importanti quel giorno», ha detto ospite di Giovanni Floris a “Di Martedì”, su La7.
Ecco cosa c’è dietro i 18 milioni che ha deciso di mettere su Mashape un mostro sacro del venture americano come Andreessen Horowitz: investitori di quelli senza i quali, per intenderci, realtà come Facebook non sarebbero mai nate. C’è la favola di un giovane romano che va a studiare a Milano e vuole fare una startup. Un film che nessuno ha raccontato.