Perché una grande azienda dovrebbe lavorare a fianco delle startup? E in che modo questa collaborazione tra player consolidati e team giovani e dinamici è in grado di fornire risposte alle grandi sfide che l’umanità deve affrontare? In questo guest post la visione di Michela Petronio, vicepresidente di BluFuture, l’unità di Barilla che si occupa di innovazione e investimenti in startup
La prima volta che ho sentito di parlare molti anni fa di Ecosistema dell’Innovazione mi colpì l’associazione di due termini così lontani, dove il concetto di Innovazione assumeva un significato ben più aperto rispetto alla narrativa tradizionale in cui doveva restare circoscritta agli esperti e praticata a porte ben chiuse … Oggi spesso con queste parole si indicano anche quelle generiche attività di networking e collisioni casuali fra un mondo di startup, Industria, Università, che talvolta vengono percepite da chi si occupa di Innovazione nelle aziende, come momenti interessanti ma che non necessariamente portano ad un impatto concreto nello sviluppo del businesses.
Al contrario per me durante i molti anni passati nel settore alimentare soprattutto in ruoli di R&D , l’idea di un Ecosistema aperto è un concetto chiave che ha guidato il mio sviluppo professionale e personale.
Le soluzioni ai problemi si trovano collaborando
Era chiaro già nei primi anni 2000 che la Ricerca, soprattutto quella precompetitiva aveva bisogno di integrare competenze, allora le industrie iniziavano ad abbracciare i primi modelli collaborativi con Università e Centri di ricerca grazie anche a programmi come Horizon2020. Ma il mio momento di svolta è avvenuto nel 2015 quando, durante un viaggio di lavoro nella Bay Area, ho potuto rendermi conto di quanto necessario sarebbe diventato in futuro sviluppare anche le relazioni non ovvie fra attori con ruoli molto diversi in aree di sviluppo comuni .
Mi trovavo nella tanto citata Silicon Valley partecipando ad incontri dove improvvisamente conversavano con grande interesse e competenza, managers, imprenditori, studenti, professori impegnati su più fronti a voler risolvere i grandi problemi del sistema alimentare. La scarsità di risorse come l’acqua, la terra, l’energia, i cambiamenti climatici, l’iniqua distribuzione di cibo, la scarsa conoscenza dell’impatto del cibo sulla salute nostra e del pianeta, stavano mettendo a rischio la sopravvivenza dell’uomo sulla terra. Questa consapevolezza muoveva nuovi imprenditori con background molto diversi, tutti accomunati dalla consapevolezza che l’unica strada per risolvere problemi complessi è la Collaborazione.
Mi ritengo molto fortunata nell’aver potuto ascoltare quelle prime conversazioni dove persone come Pat Brown di Impossible, o Ryan Pandya di Muufri (oggi Perfect day) raccontavano la propria visione di un mondo, dove l’allevamento intensivo sarebbe diminuito drasticamente grazie a soluzioni plant based e biotecnologiche o aver potuto visitare i primi impianti di Vertical Farming in capannoni, dove i founders dormivano e lavoravano no-stop. I famosi garage in cui si testavano le prime vending totalmente automatizzate e i primi forni connessi cuocevano in autonomia, gestendo liste della spesa virtuali .
Un esempio di come le stampanti 3D possono essere usate per creare nuove forme di pasta
Le sinergie tra startup e aziende consolidate
Per chi come me si occupava di Ricerca nel Food da anni, mi colpivano oltre alla novità degli approcci, l’ampiezza delle competenze applicate ( l’informatica, la biotecnologia, il design, … ) ma soprattutto l’ambizione di risolvere problemi enormi. Le grandi sfide dell’umanità come coltivare e allevare limitando al minimo l’uso delle risorse, ridurre a zero lo spreco alimentare, avevano improvvisamente soluzioni rivoluzionarie. Avevo avuto anche un’altra fortuna però, quella di aver speso molti anni di lavoro in Barilla un’azienda che produce alimenti dal 1877 , si trova nella cosiddetta Food Valley Italiana e già nel 2011 aveva portato all’attenzione dell’opinione pubblica le forti connessioni fra il futuro del pianeta e i consumi alimentari. Promuovendo un consumo di cibo consapevole e uno dei modelli più sostenibili di sempre: quello della Dieta Mediterranea, oggi riassumiamo così il nostro purpose “ The joy of food for a better life”.
E dopo solo 7 anni da quegli incontri che cambiarono le mie prospettive, dopo una pandemia e nel pieno di una crisi globale e climatica, oggi non sono comunque certa che tutte le soluzioni necessarie verranno solo dalle nuove tecnologie. Sono abbastanza sicura che vedremo il successo di approcci molto diversi, spesso ibridi che, valorizzeranno anche le tecniche più tradizionali, ‘aumentate’ si’ dalle nuove tecnologie, ma che porteranno alla necessaria rivalorizzazione dei territori, della biodiversità e delle tradizioni.
Di quei primi viaggi ricordo l’entusiasmo di incontrare così tanti visionari (i founders), pionieri di imprese anche giudicate impossibili (le startup) che mettevano insieme competenze ed esperienze dai settori più disparati per realizzare prototipi, validandoli velocemente sul mercato . Questi nuovi imprenditori con competenze eccellenti in discipline anche molto diverse, interagivano fra loro in un ambiente favorevole e ricco di capitale, sviluppavano soluzioni e nuovi modelli di business, alla ricerca del loro modello ideale.
Era un nuovo Ecosistema dell’Innovazione che abbracciava diversi settori industriali, un modello molto diverso da quello classico dove le Imprese ricercano nuove soluzioni a porte chiuse o al massimo in stretta connessione con Università e Centri di Ricerca. Modelli tradizionali dove le soluzioni possono solo essere applicate al modello di business esistente cercando di ampliare i mercati senza perturbare troppo le organizzazioni.
Sembrano due universi molto distanti quello delle startup e delle Corporates, ma in realtà hanno ampie possibilità di interagire nel momento in cui sono focalizzate sulla soluzione di problemi complessi comuni. Un modello collaborativo che peraltro non è nuovo. In Italia proprio l’industria alimentare è prosperata ed è diventata leader nel mondo grazie alle collaborazioni e partnerships realizzate fra grandi e piccole imprese dell’epoca. Piccoli imprenditori (anche allora visionari) che svilupparono soluzioni tecnologiche negli anni 60 e 70 rendendo l’Italia uno dei paesi più importanti non solo per la produzione di cibo, ma anche per produzione di tecnologie e macchine per alimenti .
Quello che c’è di nuovo oggi sono i più alti obiettivi, l’impegno comune sui grandi problemi del sistema alimentare profondamente interconnessi a dinamiche sociali ambientali che richiedono soluzioni non solo complesse ma anche veloci. L’elemento temporale è la vera novità, la velocità con cui evolvono le scienze e le tecnologie rende l’innovazione inafferrabile dalle grandi organizzazioni che evolvono troppo lentamente. Inoltre, anche le idee proposte più all’avanguardia se pretendono di essere applicate senza tener conto dei territori, delle culture locali e dei modelli economici in essere, falliranno in partenza . Ecco perché l’innovazione per funzionare, portare valore e prosperità ha bisogno di molti più elementi interconnessi.
BluFuture e il programma Good Food Makers
Dalle sfide poste dal climate change, che portano all’impiego dei nuovi ingredienti plant based, all’utilizzo dell’AI in agricoltura e nei mari, che promette tracciabilità e ottimizzazione dell’uso delle risorse, sono numerosissime le collaborazioni che possono nascere fra startup e grandi players. In Barilla, dopo aver fondato nel 2017 il piccolo cvc (Blu1877), oggi rinominato BluFuture, un’unità che si occupa di Innovazione e Investimenti in startup , siamo riusciti a sviluppare e a formalizzare il nostro modello collaborativo sempre in evoluzione: il programma Good Food Makers. Ogni anno 4 teams multifunzionali di managers identificano delle sfide concrete (progetti) da lanciare nella comunità globale delle startup. Ne selezionano quattro per collaborare durante un periodo di 2 mesi e cercare insieme nuove soluzioni alle sfide poste.
Questo programma accelera non solo le startup partecipanti, che si trovano ad applicare le loro idee seguite da managers motivati e focalizzati, ma accelera anche i progetti proposti dai managers stessi, con l’opportunità di trovare e testare tecnologie, servizi o nuovi modelli di business. La complementarietà dei Teams (interni ed esterni) è alla base della buona riuscita del progetto; infatti se da una parte le startup danno il contributo tecnologico importante, dall’altra la realtà aziendale riesce a verificarne l’applicabilità o la scalabilità in un contesto reale, contesto che difficilmente le start up riuscirebbero ad avvicinare, soprattutto nei primi anni del loro sviluppo.
Nel 2022 siamo ormai alla 4 corte, più di 100 managers hanno sperimentato questa progettualità condivisa e agile, testando fra le altre: nuove soluzioni per la tracciabilità del basilico ( Connecting Foods ), canali di vendita alternativi (Plant Jammer), nuovi ingredienti upcycled ( Regrained, Renewall Mill, Planetarians) , nuove soluzioni per il pasto (Anina), nuove biotecnologie per il recupero degli sfridi di lavorazione (MOA Foodtech), sistemi per l’agricoltura rigenerativa (Smart cloud farming), robot per la preparazione dei pasti (Aitme).
In alcuni casi, quando la soluzione si rivela interessante anche per uno sviluppo di business futuro o per un piano di ricerca ulteriore, la collaborazione può continuare, in caso contrario il progetto si conclude avendo comunque ottenuto da parte dell’azienda un ottimo quadro dello stato dell’arte delle tecnologie negli ambiti esplorati e da parte della startup, una robusta validazione della propria soluzione.
Quest’anno le aree di scouting sono in ambito Agrotech (soluzioni per migliorare la sicurezza alimentare e la gestione della qualità in campo), Meal Kit premium, Produzioni sostenibili (sistemi di AI per ridurre i consumi energetici) e nuove tecniche di essiccazione e cottura . Questo tipo di esercizi porta sempre l’organizzazione a focalizzarsi non solo su innovazioni incrementali ma a toccare con mano la cosiddetta ‘disruption’ per prepararsi a coglierne le opportunità e a valutarne l’impatto direttamente sul proprio business.
Oltre a questo approccio di tipo progettuale, limitato nel tempo e circoscritto ad un progetto specifico, esiste poi la possibilità di effettuare investimenti seeds, normalmente utili quando si voglia creare un legame di medio e lungo periodo o vere e proprie acquisizioni di quote di maggioranza nel caso in cui si vogliano acquisire competenze ed esperienze in aree adiacenti al core business.
In sintesi, in un mondo che evolve velocemente a fronte di problemi che richiedono soluzioni complesse l’unica strada è agire altrettanto velocemente cercando l’integrazione di competenze fra imprese, startup, comunità lungimiranti, nelle quali operino persone guidate dagli stessi obiettivi. In questo senso mi auguro che la collaborazione e l’inclusività delle idee porti sempre più alla crescita di Ecosistemi aperti, vere e proprie reti neurali dell’Innovazione, dove possano scorrere le idee per essere velocemente testate e scalate nell’economia reale e trovare soluzioni concrete per portare prosperità nel mondo.
Nella foto di apertura una nuova forma di pasta creata con una stampante 3d