L’ecosistema israeliano conta centinaia di startup innovative e dimostra di essere all’avanguardia in diversi ambiti, tra cui per esempio l’agricoltura di precisione. Cultura imprenditoriale, ma anche capacità di fare rete e di creare sinergie tra pubblico e privato, tra università e imprese: sono questi alcuni degli elementi che hanno contribuito a rendere vincente “modello israeliano”. Ne abbiamo parlato con Dana Kedar, direttrice di GrowingIL.
Per affrontare le sfide poste dalla crisi climatica, saper innovare è indispensabile e permette anche di garantire dei vantaggi competitivi. Lo sanno bene in Israele, che per la sua propensione ad investire nell’innovazione tecnologica si è guadagnata il titolo di “startup nation”, riuscendo ad acquisire una posizione di leadership a livello mondiale anche nel settore AgriFoodTech.
Secondo l’AgriFoodTech Investment Report 2022 realizzato da AgFunder, nel 2021 Israele è stato in grado di attrarre capitali per un valore di 1,2 miliardi di dollari, chiudendo 71 deal (al settimo posto dietro a Stati Uniti, Cina, India, Germania, Regno Unito e Brasile).
E pensare che stiamo pur sempre parlando di un piccolo Paese di circa 22 mila chilometri quadrati (corrispondente grosso modo alla superficie dell’Emilia Romagna), che apparentemente non sembra adatto ad ospitare un’industria agricola fiorente: basti considerare che circa il 50% del territorio è desertico e solo il 20% è arabile naturalmente. E con il riscaldamento globale le condizioni ambientali sono destinate a diventare sempre più avverse.
Tutto ciò però non spaventa. In Israele, dove lo Stato investe quasi il 5% del Pil in ricerca e sviluppo (in Italia siamo fermi attorno all’1,5%), le aziende agricole hanno imparato, per esempio, a ottimizzare l’utilizzo di una risorsa scarsa, ma estremamente preziosa: l’acqua. Grazie allo sviluppo di tecnologie come i sistemi di irrigazione a goccia e il riciclo delle acque reflue, è infatti possibile ridurre gli sprechi fino a dieci volte.
O ancora, Israele è la patria di importanti aziende biotecnologiche che puntano alla produzione su larga scala dei cibi del futuro. Come Future Meat, che si occupa di carne coltivata in laboratorio a partire da cellule animali e che alla fine dello scorso anno è riuscita a raccogliere in un round di serie B la bellezza di 347 milioni di dollari. O come Remilk, che si prepara a inaugurare in Danimarca l’impianto più grande al mondo dedicato alla produzione di latte ottenuto tramite la fermentazione di lieviti.
Il lavoro di squadra premia
Ma quali sono gli ingredienti che hanno determinato il successo del modello israeliano? “Tutto questo non sarebbe possibile se non si creasse una sinergia tra pubblico e privato, tra mondo accademico e mondo delle imprese. Il segreto è mettere in connessione diversi soggetti: startup, funzionari governativi, università, importanti player del settore, investitori, agricoltori”.
A parlare a StartupItalia è Dana Kedar, direttrice di GrowingIL, iniziativa governativa nata nel 2018 che vede la partecipazione di vari enti israeliani: il ministero dell’Economia, quello dell’Agricoltura, l’Autorità israeliana per l’innovazione e l’Israel Innovation Institute. Il suo obiettivo? Contribuire allo sviluppo dell’ecosistema AgTech israeliano, in modo da rendere Israele un hub di rilievo internazionale per l’innovazione nel settore agroalimentare e promuovere l’implementazione di nuove tecnologie per affrontare la crisi alimentare globale.
“Quello che cerchiamo di fare è mettere a disposizione della community una piattaforma, attraverso cui fornire strumenti di supporto”, prosegue Dana Kedar. “Il nostro scopo è quello di favorire le occasioni per scambiarsi idee e fare networking. Qualche esempio? Una delle principali sfide che deve affrontare una startup riguarda il fundraising. Ecco, noi le aiutiamo in questa fase cercando di attivare partnership strategiche”.
In questo senso, eventi come l’Israel’s Agrifood Week (che si svolgerà a Tel Aviv il prossimo novembre) rappresentano delle importanti vetrine. Persone da tutto il mondo vengono in Israele per vedere che cosa bolle in pentola nel settore e per cogliere nuove opportunità di business.
“Sono convinta che per avere successo occorra fare le cose insieme e uscire dalla logica che siamo in competizione l’uno con l’altro”, ribadisce la direttrice di GrowingIL. “Adottare un approccio complementare, collaborare per creare situazioni win-win: questo è il giusto mindset. Si tratta di capire in quale direzione si muove il mercato e di adattare conseguentemente le nostre soluzioni e i nostri servizi”.
Il cambiamento climatico? Una questione di problem solving
Come dicevamo anche in apertura di articolo, in cima alla lista delle priorità per il governo israeliano c’è la risposta ai cambiamenti climatici. Come l’Unione Europea e gli Stati Uniti, anche Israele si è infatti impegnato a raggiungere la carbon neutrality entro il 2050. Investire in innovazione significa sostanzialmente avere una freccia in più nella faretra.
“In Israele la gente è abituata a vedere il problema come una sfida. E ognuno ha interesse a portare le proprie conoscenze, anche da un’industria a un’altra, per cercare di risolverlo”, afferma Dana Kedar. “Per esempio, osserviamo che ci sono aziende del settore automotive che hanno portato il loro know-how nel settore AgTech, sviluppando macchinari completamente automatizzati”.
“Se c’è un ambito in cui Israele primeggia, questo è sicuramente il precision farming. Quest’ultimo non fa altro che servirsi delle conoscenze provenienti dal ramo dell’hi-tech, che in Israele è molto sviluppato: mi riferisco all’Internet of Things, alla sensoristica avanzata, all’utilizzo dei big data, all’intelligenza artificiale”.
Attraverso l’utilizzo di droni e di sensori, è possibile infatti raccogliere una serie di dati che, una volta rielaborati, possono essere estremamente utili all’agricoltore per avere una panoramica più precisa dello stato di salute del campo o del frutteto, così da aiutarlo a prendere le scelte migliori e gestire le risorse (in primis idriche) in maniera oculata.
Ma gli interventi a sostegno di una maggiore sostenibilità del settore non si limitano all’agricoltura di precisione. “Israele è in prima fila anche nel campo della ricerca di proteine alternative e della produzione di alimenti plant-based. O ancora, diverse aziende biotecnologiche israeliane sono al lavoro per sviluppare varietà di colture più resistenti agli eventi climatici estremi, come ondate di calore e siccità prolungate”.
Un’altra questione aperta è quella relativa alla combinazione di agricoltura ed energie rinnovabili. “Anche qui in Israele lo sviluppo dell’agrivoltaico è oggetto di dibattito. La legislazione è effettivamente molto complicata, ma il governo è chiamato ad indicare la strada. La posta in gioco è troppo alta per non trovare una soluzione vantaggiosa per tutti”, conclude Dana Kedar.
La morale della favola è molto semplice: pubblico e privato non si mettono i bastoni tra le ruote, ma al contrario fanno rete per raggiungere un obiettivo comune. La lotta al cambiamento climatico aiuta poi a mettere a fuoco un altro punto fondamentale, e cioè la capacità di mantenere una prospettiva globale del problema.
Consideriamo che Israele deve fare i conti con un mercato interno di esigue dimensioni. Eppure, se l’ecosistema AgTech è così sviluppato, è anche merito di una cultura imprenditoriale basata sulla volontà di prendersi dei rischi ed essere coraggiosi, di pensare in grande, di coltivare fin da subito ambizioni internazionali. Su questo forse le startup italiane hanno molto da imparare.