Con la manodopera a casa ammalata, molti locali statunitensi hanno dovuto adeguarsi, qualcuno addirittura mettendo in campo i robot. Ne è nata una vivace discussione che riporta sul tavolo (è proprio il caso di dirlo) un argomento ormai ciclico: saremo sostituiti dalle macchine?
L’onda partita dalla California, questa volta, non è materia per surfisti. Già da qualche tempo i clienti di un ristorante della catena Denny’s vengono serviti da una cameriera di nome Janet, che qualcuno ha prontamente trasformato in un fenomeno virale sui social network e, da qui, su canali tv e siti internet. Le forme di Janet colpiscono parecchio infatti, ma non per avvenenza: si tratta di un robot con tre ripiani per trasportare bevande e pancake e i suoi movimenti fra i tavoli del ristorante statunitense hanno generato uno scompiglio forse esagerato. Non è certo la prima volta che una macchina prende il posto di una persona al lavoro, ma evidentemente fa ancora un certo effetto il venir meno di quella convivialità data anche dal personale di un locale.
I robot venuti con la pandemia
La pandemia di Covid 19 è fra i motivi che hanno determinato l’entrata in scena di alcuni robot nei ristoranti d’oltreoceano: malattie, quarantene e distanziamenti hanno infatti costretto a casa molto personale e molti locali ne hanno risentito pesantemente: orari almeno in parte ridotti e servizio più lento per catene come Starbucks e McDonald’s rendono bene l’idea della difficoltà vissuta anche da chi, solitamente, non fatica a reperire personale. Non dovrebbe stupire quindi che qualche ristoratore abbia fatto un ulteriore passo avanti, optando per un servizio che non si infetta e che non può infettare. Per placare gli animi e far abbassare gli scudi che subito si sono levati in difesa dei posti di lavoro degli umani, il presidente e amministratore delegato del ristorante Sergio’s, Carlos Gazitua, ha fatto notare nel corso di un servizio di Fox Business come i camerieri robot aiutino in realtà i loro colleghi umani, perché garantiscono un servizio veloce e preciso su più tavoli e, di conseguenza, un numero maggiore di mance da suddividere fra un numero minore di persone.
Non solo camerieri
Le macchine che servono ai tavoli non sono peraltro l’unico esperimento di robotica condotto dai ristoranti d’oltreoceano per arginare le conseguenze su vari fronti causate da quasi due anni di pandemia. Le macchine possono facilmente essere schierate per tutta una serie di operazioni ripetitive come girare gli hamburger, assemblare insalate e preparare le bevande. Ecco alcuni casi che negli Stati Uniti hanno ricevuto l’attenzione dei media. Il marchio internazionale Jamba Juice, nato nel 1990 per un negozietto californiano che lanciò la fortunata idea di preparare cibo sano facile da consumare, ha sviluppato adesso un chiosco automatizzato con un braccio robotico che prepara i celebri smoothies della catena dentro i negozi di altri brand.
Saladworks ha stretto invece un accordo con Chowbotics per usare il loro Sally robot e preparare insalate anche fuori dai suoi punti vendita, come negozi di alimentari, università e ospedali. Buffalo Wild Wings ha puntato sui robot Flippy Wings per friggere le ali di pollo. Sweetgreen acquisisce la tecnologia automatizzata Spyce per migliorare l’esperienza di clienti e dipendenti dei suoi ristortanti. Secondo il report 2021 Global State of the Hospitality Industry, l’87% dei proprietari e/o operatori del settore della ristorazione ritiene che l’adozione di tecnologia sia stata cruciale in tempo di Covid-19.
Pronti al cambiamento?
Oltre al cameriere, quali professioni risentiranno di più della concorrenza dei robot? Senza dubbi gli operatori delle agenzie turistiche, fra le prime realtà a risentire dell’arrivo di Internet sul mercato dei viaggi; poi gli operatori dei call center, sempre più spesso sostituiti da risponditori automatici e chatbot. Cambierà la professione anche per i consulenti finanziari, data la gestione di portafogli e investimenti sempre più proiettata online, e gli impiegati di banca, in parte sostituiti dall’home banking. Naturalmente sono già robotizzati interi comparti aziendali come i magazzini, dove carrelli guidati dall’intelligenza artificiale spostano carichi pesanti e a loro modo rischiosi. Anche in agricoltura sono già pronte macchine capaci, ad esempio, di raccogliere determinati tipi di frutta (come l’uva) e svolgere operazioni come la semina e il diserbo, consentendo di contenere i costi, sopperire alla mancanza di manodopera, evitare l’esposizione degli agricoltori a sostanze chimiche dannose.
L’eterno dilemma: i robot ci sostituiranno?
Sull’eventualità che gli uomini vengano sostituiti dai robot sul lavoro sono già stati spesi fiumi di inchiostro digitale. L’esempio della ristorazione dimostra come tutto ciò che è hard skill, cioè competenze tecniche maturate grazie all’esperienza, può essere più facilmente sostituibile soprattutto quando la competenza è applicata a un’azione ripetibile e poco fantasiosa: assemblare ingredienti e sostituire pezzi ad esempio. Tutto ciò che è più intrinsecamente umano, invece, più difficilmente sarà sostituibile dalle macchine: siamo nel campo delle soft skill, le competenze trasversali di una persona che riguardano la sua sfera sociale, personale e comunicativa. E se la creatività pare essere replicabile (anche se verrebbe da pensare il contrario), l’empatia e la capacità di valutare le situazioni in base a impercettibili dettagli metteranno sempre alla prova gli algoritmi di intelligenza artificiale. Emblematico in questo senso il caso dell’Henn na Hotel di Nagasaki, in Giappone: prima al mondo a essere gestita interamente da robot (alcuni anche a forma di dinosauri!) questa struttura ricettiva ha poi visto sostituire metà della sua forza lavoro robotica con più “obsoleti” esseri umani, meno scenografici ma più efficienti in alcune operazioni come la reception e il servizio in camera.
Il “New Normal” è robotizzato
Secondo l’International Federation of Robotics, con la pandemia sono diventate oltre 1000 le aziende che, in tutto il mondo, offrono soluzioni per servizi di robotica e circa il 17% sono startup. Uno degli ambiti dove la robotica si è sviluppata meglio è il professional cleaning, perché è ovviamente preferibile che siano machine a occuparsi, ove possibile, della sanificazione degli ambienti. Più di 50 sono le aziende conosciute ad oggi per la loro offerta di “robot disinfettanti”. Fra queste ci sono anche aziende che utilizzavano già i raggi UV per l’igienizzazione con i robot ma che ora li hanno dotati di telecamere a raggi infrarossi, per sondare la presenza di umani nell’ambiente ed evitare di “toccarli”.
Il sito dell’associazione riporta come alla fine del 2020 si registrassero nel mondo circa 3 milioni di robot industriali operative. La Cina rimaveva il mercato più ampio al mondo (con il 44% delle installazioni) seguito dal Giappone (10%) e dagli Stati Uniti (8%). Vale la pena ricordare, fra l’altro, che lo scorso anno è stato lanciato RoboIT, primo polo nazionale per il Trasferimento Tecnologico della Robotica e prima Robot Valley europea, con sede a Genova. L’idea è quella di supportare la nascita di nuovi campioni nazionali della robotica, valorizzando i risultati della ricerca scientifica e tecnologica italiana, che è tra le prime al mondo per il numero di citazioni per pubblicazione. Proprio a Genova, fra l’altro, all’Istituto Italiano di Tecnologia, era stato creato già qualche anno fa uno dei più celebri robot umanoidi al mondo: iCub.
In futuro persone e intelligenza artificiale si troveranno sempre più spesso a interagire e a lavorare assieme. Anziché in termini di contrapposizione, questa realtà dovrebbe essere accolta come una grande opportunità di aumentare la sicurezza e la qualità del lavoro, liberando le energie umane dove quelle robotiche continueranno a faticare.