Attrarre talenti (e non solo formarli), decuplicare i capitali di rischio. E ancora: privilegiare chi può davvero scalare e incentivare le acquisizioni con la defiscalizzazione: sono le proposte di un documento unitario firmato da AIFI, APSTI, Endeavor, IBAN, Italia Startup, PNICube, Roma Startup
Talenti, capitali, semplificazioni, exit. Un ecosistema in quattro parole: sono quelle scelte dal primo documento unitario firmato dalle sette associazioni che rappresentano una parte importante della filiera italiana: AIFI, APSTI, Endeavor, IBAN, Italia Startup, PNICube, Roma Startup. Un testo da leggere, perché sottoscritto da chi è sul campo. E perché non si ferma a scattare una fotografia ma fa delle proposte concrete. Dopo il decreto Crescita 2.0 del 2012, è tempo – si legge nella premessa – di una “manutenzione evolutiva”. Che passi, appunto, da quelle quattro parole.
L’Italia forma talenti ma non riesce ad attrarne dall’estero. La disponibilità dei capitali di rischio è ancora ridotta. E servono “misure immediate, nette e mirate” per “un accrescimento del comparto di almeno dieci volte in un ristretto arco temporale”. La semplificazione dovrebbero passare da una nuova tassonomia, per concentrare le agevolazioni su chi ha davvero la forza di scalare. Le exit potrebbero essere favorite da uno sconto fiscale sulle acquisizioni.
1- Un visto per chi investe più di 500 mila euro
Serve un visto per gli investitori. Senza aprire le porte a chiunque ma garantendo un perimetro “circoscritto e definito”, che sappia abbracciare chi ha davvero intenzione di puntare sull’Italia. Primo paletto: il visto va solo a chi investa almeno 500 mila euro. L’esempio sarebbe quello della Green Card statunitense, che ammette tra i papabili gli imprenditori che investano un milioni di dollari (ridotti a 500 mila in settori con un alto tassi di disoccupazione).
2- Il visto per i talenti da incubatori e acceleratori
Anche in questo caso, come in quello degli imprenditori, l’efficacia dipende in buona parte dalla bontà della selezione: dovrebbe essere effettuata (secondo il modello francese) da incubatori e acceleratori, con un sistema proporzionale: più sono le startup supportate e più la struttura avrà peso. In questo modo, anche incubatori e acceleratori sarebbero incentiva ad entrare in reti internazionale, “attraverso la quali identificare ed invitare talenti nelle differenti discipline di interesse”.
3- Startup Hub: un problema da risolvere
Startup Hub è il programma (figlio dell’Italia Startup visa) che consente agli stranieri di prolungare il proprio soggiorno in Italia se decisi a creare una startup innovativa. È possibile convertire in visto Startup un visto per studenti. Ma non è possibile fare la stessa cose per un visto di ricerca. Il manifesto “sollecita una revisione” perché “questa mancata opportunità blocca molte persone”.
4- Innovatori in aspettativa
“Sarebbe importante mitigare il rischio, tutelando e conservando il posto di lavoro per i ricercatori che decidano di avviare una startup”. E fare chiarezza sul rapporto tra docenti e impresa. La riforma Gelmini del 2010 dichiara infatti l’incompatibilità (vaga) tra accademia ed “esercizio dell’industria e del commercio”. È possibile costituire spin-off. Ma un professore non può associarsi a startup “esterne”. Le autorizzazioni sono nella mani dei Regolamenti di Ateneo, che si pronunciano con cadenza regolare. L’incertezza, quindi, rischia di diventare vincolo. Il documento chiede quindi “un’estesa liberalizzazione degli spin-off, la libertà di assumere cariche senza deleghe operative anche in altre società commerciali, uno spostamento del regime delle autorizzazioni verso aspetti di merito (il tempo dedicato) e non di forma, permettendo la possibilità di prendere periodi di aspettativa non retribuita” senza arrivare all’incompatibilità.
5- Stock option più vantaggiose
Il Decreto Crescita 2.0 ha introdotto agevolazioni fiscali e contributive per incentivare strumenti come il work for equity (lavoro e consulenze ripagate con un pezzo di capitale). La direzione sarebbe quella giusta ma la norma ha ancora alcune “rigidità” che potrebbero ridurne l’impatto. Ad esempio, si proibisce il riacquisto dei titoli da parte della società che li ha emessi. Un divieto che, secondo i firmatari delle proposte, dovrebbe essere solo temporaneo. Le agevolazioni dovrebbero equiparare i dipendenti con i “prestatori d’opera” ed essere estese anche agli strumenti emessi da fondi comuni e Sicav.
6- Detrazione Irpef al 40%
“Non sembra che la detrazione dall’Irpef per le persone fisiche pari al 19% delle somme investite e la deduzione dall’imponibile Ires per le persone giuridiche pari al 20% siano state in grado di incidere sulla propensione all’investimento”. Tradotto: le misure attuali non bastano. La detrazione Irpef dovrebbe salire “almeno al 40%” e la deduzione Ires al 30%. O, in alternativa, trasformare la deducibilità (che impatta sull’imponibile) in detraibilità (che impatta sulle imposte dovute). Tra le altre proposte c’è quella di eliminare il limite entro il quale è possibile usufruire delle agevolazioni (tre anni). Altro problema: gli incentivi oggi decadono in caso di cessione della partecipazione durante il cosiddetto “holding period” (tre anni). La privazione degli incentivi non dovrebbe essere assoluto ma proporzionale alla quota ceduta.
7- Defiscalizzazione dei capital gain
Non ha avuto gli effetti sperati neppure il decreto legge n.98 del 2011 , rivolto a “favorire l’afflusso di capitale di rischio verso le nuove imprese”. Secondo AIFI, APSTI, Endeavor, IBAN, Italia Startup, PNICube e Roma Startup, dipende anche dai requisiti richiesti per accedere all’agevolazione. La proposta prevee di non passare solo dai fondi comuni di investimento; di rivedere il limite che consenta di accedere alle agevolazioni (passando dal 75% dei capitali raccolti al 51% degli attivi investiti); di poter puntare su imprese giovani ma non giovanissime (che abbiano al massimo 60 mesi e non, come oggi, 36). E ancora: “Dovrebbe essere prevista la detassazione delle plusvalenze” realizzate in una exit o nella vendita della propria quota se le somme incassate vengono reinvestite in una startup innovativa entro due anni.
8- Un regime dei minimi per startup innovative
Il documento propone di incrementare gli incentivi a disposizione delle startup innovative: esenzione dal versamento minimo Inps per i soci-amministratori; esclusione dall’Iva sul modello del “regime dei minimi” cui possono ricorrere i liberi professionisti, esenzione dall’imposta di bollo sui libri sociali ( 309,87 euro l’anno) e dagli oneri di liquidazione per i primi 36 mesi o comunque fino a quando non si raggiunga un fatturato di 50 mila euro.
9- Un registro per startup ad alta crescita
Il Registro delle startup innovative sta crescendo. Ha avuto i merito di tracciare un confine. Ma è in buona parte costituito da “soggetti che solo incidentalmente attraggono investitori di venture capital”. Un risultato “fisiologico in un ecosistema ancora povero di risorse”. L’idea sarebbe quella di “concentrare ulteriori benefici e agevolazioni su un numero più limitato di soggetti realmente capaci di attuare un percorso di scalabilità veloce”. Un registro nel registro, cui si accede in base ai risultati di fatturato e occupazione, che assicurerebbe uno “sconto” del 50% sugli oneri fiscali e contributivi sul costo del personale. Cioè una riduzione del cuneo fiscale, il cui beneficio sarà diviso tra azienda e lavoratore. E poi defiscalizzazione integrale dei premi-obiettivo, stock option e benefit per il personale. Tassazione sull’utile d’impresa al 20%, ma solo sulla quota distribuita. In pratica una detassazione degli utili reinvestiti.
10 – Vigilanza più snella
Il documento di AIFI, APSTI, Endeavor, IBAN, Italia Startup, PNICube, Roma Startup propone l’esenzione dagli obblighi di vigilanza per alcuni operatori che investono in startup. Si chiede quindi di intervenire sulla “riserva di attività relativa alla gestione collettiva del risparmio” in modo da alleggerire i vincoli che gravano su incubatori, acceleratori, club deal e syndication. L’idea è quella di far rientrare questi attori in un regime più simile a quello delle società ordinarie piuttosto che a quello delle Sgr. Una soluzione che “potrebbe favorire il loro accesso al mercato e la loro patrimonializzazione”.
11- La riforma degli incubatori certificati
Dietro la categoria di “Incubatori certificati”, ci sono società molto diverse, con modelli di business differenti: gli incubatori non profit si reggono su un canone ma non ambiscono alla partecipazione nel capitale; quelli for profit affiancano servizi ed investimento; gli Startup Studio partecipano con capitale e personale alla creazione di startup; gli acceleratori investono in una fase successiva o agiscono con un intervento breve mirato alla scalabilità.
Anche se molti incubatori hanno un modello misto, secondo le 7 associazioni occorre “una maggiore differenziazione”, senza che la categoria diventi un vincolo. Si parla allora di “Registro degli operatori Startup Intermedi”, caratterizzato anche da un codice etico: offrirebbe al mercato un quadro più chiaro e dettagliato. E, in pratica, aiuterebbe startup e investitori a dirigersi verso che cosa interessa loro davvero.
12- Più spazi agli incubatori
Le aree metropolitane, che spesso sono anche le più fruttuose per le startup, costano. Il documento tenta di rendere più facile la la vita degli incubatori. In sostanza, dal punto di vista urbanistico, si propone di equipararli con le associazioni di promozioni sociale: in questo modo sarebbe consentito agli incubatori di “installarsi prescindendo dalla destinazione dei locali”. Cioè ovunque ci siano spazi idonei, passando anche per “il recupero di edifici e siti di varia natura, spesso inutilizzati e a cui ridare vita”, senza passare dalle modifiche del piano regolatore
13 – Defiscalizzazione per le exit
Le società più grandi dovrebbero acquisire le più piccole (e innovative). È “un meccanismo che va incentivato”. Perché crea un mercato delle exit che porta liquidità nelle casse dei ventur capital o di chiunque investa nelle startup innovative; accelera il tasso di innovatività delle grandi imprese; permette di tenere in Italia tecnologie e talenti. Questo è il principio. Segue la proposta: una norma, definita “sperimentale”, che nell’arco di un triennio preveda un credito d’imposta, a vantaggio di chi acquista startup innovative, pari al 50% del valore dell’acquisizione.
Paolo Fiore
@paolofiore