Beyoncé e Drake, Ed Sheeran e Sia, Cesare Cremonini e Vasco. Come fanno i soldi? E le loro etichette? Con i concerti, certo. Ed è il motivo per cui gli artisti sono condannati a tournée infinite, infilate di date senza sosta, giri continui d’Italia, d’Europa e del mondo che non lasciano loro fiato. Eppure, stando agli ultimi numeri pubblicati dalla Recording Industry Association of America, i ricavi provenienti dallo streaming superano quelli delle vendite fisiche dei cd, dei download digitali e degli accordi di licenza messi insieme.
Due terzi vengono da Spotify & co
Nel complesso, l’industria discografica statunitense – quella di assoluto e totale riferimento per il resto del mondo – raccoglie il 75% dei soldi che guadagna dallo streaming. Che in questo senso significa sia gli abbonamenti pagati su servizi come Spotify, Apple Music, Amazon Music Unlimited, Deezer, Tidal o Pandora (attiva solo negli Usa) ma anche streaming video come Vevo e broadcast radiofonici. Una categoria più ampia di quel che si potrebbe pensare e che sta portando nelle casse del settore 3,4 miliardi di dollari nel 2018. Appunto, due terzi della torta complessiva.
Certo, per lo streaming il discorso statunitense è per forza di cose a parte. Basti un numero: i nuovi utenti per quel genere di servizi viaggiano al ritmo di un milione al mese. Come fa notare The Verge poco rispetto all’ascolto musicale planetario ma molto più di ogni altra crescita registrata in altri segmenti del settore. Insomma: o ti attacchi allo streaming o ti butti dalla finestra.
Le vendite fisiche ancora e sempre giù
Per esempio, i ricavi da download digitali e acquisti fisici sono scesi negli Stati Uniti rispettivamente del 27 e del 41%, in un trend drammaticamente in calo dall’inizio dell’epoca della condivisione musicale online. I vinili, su cui molti si erano illusi con un certo infantilismo, continuano certamente a crescere. Ma il loro mercato è del tutto incomparabile rispetto a quanto fatturavano in passato supporti fisici. Non una nicchia ma neanche un fenomeno di massa: una via di mezzo più di costume che altro.
“L’economia della musica in streaming sfoggia miriadi di nuove opportunità ma anche un serie di sfide – ha spiegato la Riaa – secondo Nielsen più di 70mila diversi album sono stati pubblicati alla metà dell’anno. Dunque trovare un’audience fra questa straordinaria scelta musicale, competere per l’attenzione degli utenti nei confronti di altre fonti di intrattenimento sullo smartphone ed essere sempre in evidenza su decine di diverse piattaforme musicali è fondamentale per avere successo”. Tradotto: la musica non lotta più soltanto con se stessa ma anche con Netflix, con i videogame e così via.
In Italia il peso dello streaming è del 29,7%
E in Italia com’è la situazione? Poche ore fa Enzo Mazza, Ceo di Fimi, ha snocciolato al KeepOn Live Fest di Roma alcuni dati sul settore. Partendo da quelli internazionali. A quanto pare nel corso dell’ultimo anno si è registrato un incremento del 19% della musica fruita in digitale (circa 9,4 miliardi di dollari su scala mondiale) che attesta appunto digitale come principale fonte di ricavo nel 2017 con il 54,4 % del totale. L’ascolto in streaming fa incassare al mercato musicale mondiale circa 6,63 miliardi e, come abbiamo visto, circa la metà della torta internazionale finisce al solo mercato statunitense che rimane il primo seguito da Giappone, Germania e Regno Unito. In Italia la situazione è in parte diversa: i ricavi dallo streaming sono del 29,7% e il mercato del disco italiano si afferma a 219,8 milioni di euro di fatturato.