Ma la media degli investimenti nel nostro Paese è di soli 300mila euro, contro i 2,4 milioni a livello globale. La ricerca del Politecnico
Il settore agroalimentare gioca un ruolo chiave per lo sviluppo sostenibile del pianeta con il suo grande impatto sociale e ambientale. Oggi la lotta allo spreco di cibo è una delle sfide di sostenibilità più sentite: solo in Italia si sprecano circa 5,1 milioni di tonnellate di cibo l’anno, mentre 4 milioni e mezzo di persone vivono in condizioni di povertà. Nel mondo, circa 815 milioni di persone soffrono la fame, ma ogni anno vengono sprecati 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, un terzo di quello prodotto complessivamente.
Di fronte a queste sfide, il settore vive oggi un vero e proprio fermento innovativo grazie alle startup che propongono nuovi modelli di business sostenibili, basati su nuove tecnologie e forme di collaborazione, in grado di trasformare lo spreco alimentare in un valore condiviso attraverso soluzioni circolari. Si distinguono casi di successo di imprese che hanno esplorato soluzioni per ridurre lo spreco di cibo, rendendo più efficienti i processi e rafforzando la responsabilità sociale d’impresa, ma si fa ancora fatica a passare da azioni “isolate” a una prospettiva di filiera che attivi collaborazioni dal grande potenziale, tra imprese, startup e anche soggetti di altri settori (no profit, imprese sociali, settore pubblico).
Israele, Spagna e Italia sul podio
Secondo la prima ricerca dell’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano, sono 399 le startup dell’agri-food nel mondo nate tra il 2012 e il 2018 che perseguono obiettivi di sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Si tratta di circa il 20% delle 2.026 startup mondiali censite come attive nell’agroalimentare, che propongono soprattutto soluzioni innovative per un uso più efficiente delle risorse, l’introduzione della “filiera corta” o l’utilizzo di materiali naturali nella produzione.
Se si guarda alla distribuzione delle startup agri-food a livello mondiale, gli Stati Uniti prevalgono di gran lunga sugli altri Paesi, contando 790 startup, pari al 39% del campione totale di 2.026 startup. Ma focalizzando l’attenzione sui Paesi maggiormente attivi sui temi di sostenibilità agroalimentare, il quadro cambia notevolmente. Il Paese con la maggiore diffusione di startup orientate alla sostenibilità è Israele (28 startup agri-food, di cui il 64% sostenibili), seguito da Spagna (29 startup, di cui il 38% sostenibili) e Italia (38 startup agri-food, di cui il 37% sostenibili).
Investimenti col freno a mano
Nonostante il terzo posto, guardando ai finanziamenti raccolti, in Italia le startup non incontrano ancora un riconoscimento solido da parte degli investitori. Il 62% delle startup a livello globale ha ricevuto almeno un finanziamento, raccogliendo complessivamente 605 milioni di dollari nel periodo analizzato, con una media di 2,4 milioni di dollari ciascuna, mentre quelle italiane 1,9 milioni di dollari, in media 300mila euro ciascuna, ben lontano dai 296 milioni di dollari, in media 3,4 milioni ciascuna, delle statunitensi.
“Le startup giocano un ruolo sempre più decisivo nel promuovere soluzioni innovative e nuovi modelli di business per lo sviluppo sostenibile del settore agroalimentare”, dice Paola Garrone, responsabile scientifico dell’Osservatorio, “in particolare confermano la crescente importanza della tecnologia come fattore abilitante”. Tuttavia “occorre ancora dimostrare la solidità economica e la scalabilità di queste nuove soluzioni, che devono essere messe a sistema per generare un impatto significativo nel lungo periodo. In Italia inizia ad esserci un fermento innovativo alimentato da un numero crescente di startup orientate alla sostenibilità, che però fanno fatica, almeno per ora, a raggiungere la stabilità economica e la scalabilità del proprio business”.