Questa storia inizia con un bambino di 6 anni che osserva, nel 1841, una pioggia di stelle cadenti e termina, nel 2016, con una sonda atterrata su Marte. Una storia, incredibile, che ha un filo conduttore: Giovanni Schiaparelli.
Una pioggia di stelle cadenti che ti attraversa gli occhi. Ti trapassa e non ti dà scampo. Giovanni Virginio Schiaparelli ha solo 6 anni quando viene colpito dallo spettacolo più bello a cui un bambino può assistere. È il 1841. Il cielo è quello delle langhe piemontesi. Alto e sconfinato. Siamo a Savigliano, vicino a Cuneo. È in quel momento che il destino di Schiaparelli viene marchiato a fuoco. Il fascino dello spazio, del cielo, delle comete lo cattureranno per sempre. Poi arriverà Marte, con i suoi misteri. Ma è in quello spazio e in quel tempo, in cui l’Italia non era ancora Italia, che Giovanni decide di diventare uno degli astronomi più importanti del mondo. E ci riuscirà. Fino a dare il nome a quella sonda, italiana ed europea, che nello spazio ha volato per davvero. Fino a Marte, fino a oggi.
Gli studi, le scelte. Un’altra cometa
Come tanti altri ragazzi dell’epoca, Giovanni deve sottostare ai desideri paterni. Dopo gli studi elementari e il ginnasio a Savigliano, si sposta a Torino dove si laurea, a soli 19 anni, diventando ingegnere idraulico e architetto. È sveglio, desideroso di fare e di compiacere le aspettative della famiglia. È abituato, ormai, a non guardare mai per terra e, quando può, volge lo sguardo verso il cielo. Soprattutto di notte.
Studia le lingue. Quelle antiche, compreso il babilonese, e il tedesco. Il motivo è semplice: in Germania ci sono quelle che vengono ritenute le migliori scuole d’astronomia del Vecchio Continente. Passano due anni e non ha ancora esercitato la professione per cui si è laureato. L’ingegneria e gli affari sono il pane quotidiano del padre. Non lo saziano e non lo appassionano. E allora serve un’altra cometa a fargli prendere la giusta via. È il 1856. Gli spiegano del passaggio di un astro che non si avvicina così tanto alla Terra da 300 anni. Schiaparelli lo segue. Ne traccia il percorso; ne calcola le traiettorie; sopratutto ne scrive. Tanto, tantissimo. Due volumi di analisi, commenti e considerazioni personali. In latino, greco, tedesco, italiano e inglese.
La professione. Marte. Brera
Il suo è un lavoro che convince molti astronomi ad aprirgli le porte della professione. Si reca prima in Germania, a Berlino, e poi in Russia, all’osservatorio di Pulkovo, vicino a San Pietroburgo. Inizia a maturare le sue teorie sotto la guida di maestri e professionisti. Torna in Italia nel 1860, quando l’Italia è quasi fatta, e dopo essersi fatto un nome e aver guadagnato la stima degli ambienti accademici. Lavora all’Osservatorio di Brera dove diventa presto il Direttore. Ci rimane 40 anni, 8 lustri di fedele servizio. Nel frattempo si sposa e ha 5 figli. Studia e insegna. Soprattutto formula ipotesi e scrive libri. Molti su Marte, verso cui prova un’attrazione fatale. Nel 1900, all’alba di un nuovo secolo, una malattia lo colpisce agli occhi. Il male peggiore che può capitare a chi ha dedicato l’intera esistenza a osservare il mondo e l’universo Ma Schiaparelli non si perde d’animo. Si fa aiutare, tiene carteggi con altri colleghi, ritirandosi a vita privata. Fino al 1910, quando scompare, a 75 anni.
L’impegno politico e le onorificenze
Nella sua vita ci fu anche quello. Venne nominato, nel 1889, senatore del Regno d’Italia, nato da ormai quasi 30 anni, e la chiamata arrivò talmente inaspettata che lo stesso Schiaparelli non credette fosse destinata a lui. Si racconta che, dopo aver letto la notizia sui giornali, mandò un messaggio di augurio allo zio materno, professore di geografia e membro dell’Accademia delle Scienze. Fu il primo di una lunga lista di successi e nomine: ricevette la medaglia d’oro della Società Italiana dei XL (Accademia delle Scienze); divenne membro dell’Accademia dei Lincei; venne insignito, due volte, del premio “Lalande” dell’Accademia di Francia; gli fu consegnata la medaglia d’oro dell’Accademia Imperiale Germanica e la Medaglia doro della Reale Accademia di Londra. Nel 1956, infine, gli è stato dedicato l’Osservatorio Astronomico di Varese.
Opere e Scoperte
Il suo nome è legato soprattutto agli studi su Marte, a cui dedicò diverse pubblicazioni racchiuse nel volume, La vita sul pianeta Marte (1893-1909). Nel 1877, durante quella che in astronomia chiamano “opposizione” (ovvero quando un primo corpo celeste si trova nella direzione opposta, ovvero a 180°, da un secondo corpo, rispetto all’osservatore) Schiaparelli formula la sua teoria più famosa: quella dei canali. Usò il telescopio Merz, posto sulla cupola cinquecentesca dell’Accademia di Brera e osservò come sulla superficie di Marte potesse esserci una fitta rete di strutture lineari che chiamò proprio in quel modo. Una teoria che venne smentita nei decenni successivi.
Ma in realtà il contributo di Schiaparelli fu molto maggiore. Scoprì l’asteroide 69 Hesperia, nel 1861, e dimostrò l’ipotesi, successivamente rivelatasi esatta, che gli sciami meteorici potessero essere residui cometari. È il 1867. “Note e riflessioni intorno alla teoria astronomica delle stelle cadenti” diventa un volume fondamentale nella storia dell’astronomia. Quelle stesse comete che a 6 anni lo affascinarono ora gli davano la gloria. Ma fu anche il primo a capire come le sfere omocentriche di grandi pensatori classici come Eudosso di Cnido e Callippo di Cizico, non fossero concepite come sfere materiali ma solo come elementi di un algoritmo di calcolo analogo alla serie di Fourier, formulato molto dopo.
Un metodo, le ipotesi, i lasciti nelle stelle
La sua opera scientifica è di una vastità immane. Si occupò anche di matematica, di meteorologia, di storia. Il suo catalogo dei corpi celesti è una delle testimonianze più importanti dell’epoca. Con le sue ipotesi, sia giuste che errate. Il metodo più corretto per cercare di capire il mondo: osservare, provare a capire, testare. Lasciare ai posteri la possibilità di verificare e, eventualmente, correggere.
Il cielo, del resto, è pieno di “Schiaparelli”. Attualmente, in suo onore, sono stati battezzati un asteroide (4062 Schiaparelli); un cratere (Schiaparelli) sulla Luna; un cratere (Schiaparelli) su Marte e lo Schiaparelli Dorsum, una catena montuosa sulla superficie di Mercurio. Oltre alla sonda che sta raggiungendo il pianeta proprio in queste ore.
L’amore di Schiaparelli per Marte
Quando nel 1877 Schiaparelli iniziò i suoi studi su Marte le conoscenze erano davvero limitate. L’unica carta disponibile era quella pubblicata da Richard Antony Proctor nel 1867. Dieci anni dopo, l’astronomo ne aveva realizzato due molto più dettagliate. Collocò nuovi mari, isole e continenti e quei canali a cui era molto legato. Nei suoi planisferi del pianeta utilizzò, per la prima volta, una nomenclatura in latino delle formazioni osservate. Riferimenti alla geografia e alla mitologia. Una nomenclatura accettata universalmente dalla comunità scientifica e modificata solo in parte per poterla adattare alle scoperte più recenti.
Insomma, mai scelta fu più giusta. Quella sonda, che nel 2016 porta il suo nome, oltre un secolo dopo la sua morte, completa un sogno che iniziò una notte di tanti anni fa. Mentre le stelle cadenti scendevano veloci davanti agli occhi di un bambino di 6 anni. «Vi è in Marte un mondo intiero di cose nuove da studiare, eminentemente proprie a destare la curiosità degli osservatori e dei filosofi, le quali daranno da lavorare a molti telescopi per molti anni». E aveva davvero tanta ragione da vendere.