Tre domande a otto attori dell’ecosistema startup italiano. Per capire meglio quali dovrebbero essere gli incentivi che il governo sta preparando in queste settimane per il settore. L’opinione di Andrea di Camillo (P101)
Tre domande a otto attori dell’ecosistema startup italiano. Per capire meglio quali dovrebbero essere gli incentivi che il governo sta preparando in queste settimane per il settore (con il decreto Finanza per la Crescita 2.0) e cosa servirebbe davvero per dare una spinta alla giovani imprese innovative italiane. Le parole d’ordine? Investimenti, crescita ed exit. In quest’ordine. Le risposte di Andrea Di Camillo (managing partner P101).
Nel decreto “Finanza per la Crescita 2.0” ci sarà una parte che prevede meno tasse per chi investe in pmi e startup, con uno sgravio fiscale per le società che comprano quote in startup (dicono del 20%). Come valuta questa misura?
«Qualunque cosa venga fatta in termini di incentivi fiscali che porti sia denari che attenzione sul settore è positiva. Poi è ovvio che il limite del 20% va capito se fino alla fine se resterà quello oppure no. L’iniziativa in sé è più che meritoria bisogna capire come verrà implementata e sicuramente se fosse più del 20% sarebbe meglio«.
Dai primi calcoli pare che dai privati potrebbero essere attivate risorse fino ai 10 miliardi l’anno da destinare a pmi per fare ricerca e sviluppo. Potrebbe innescare un meccanismo di acquisizioni di startup da parte delle aziende che ne beneficeranno?
«Che possa innescare un meccanismo di acquisizioni sicuramente sì, non so però se augurarmelo nel breve periodo e non credo che succederà. Quello che deve succedere è che arrivino risorse sia da investitori privati che da piccoli imprenditori che vogliono scommettere su nuove aziende innovative. Il primo step che vedo con favore è l’afflusso di risorse per finanziare l’ecosistema e farlo crescere. La conseguenza di questo spero che sia un successivo interesse sempre dalle stesse aziende che hanno cominciato ad investire in startup, anche ad acquisirle sempre usufruendo del vantaggio fiscale».
Visto che il decreto è ancora in bozze e le misure per le startup sono ancora poco più che ipotesi, cosa vorrebbe contenesse? Quale sarebbe la misura che potrebbe davvero fare la differenza ed aiutare gli investimenti in startup?
«Sicuramente il numero del beneficio in primis, perché se è 20% o 30% cambia in modo significativo, più è consistente quanto più si smuove una certa reticenza a investire in asset ancora poco conosciuti in Italia. La legge poi va comunicata e scritta in modo comprensibile, prima di tutto bisogna comunicarne l’esistenza (oggi per esempio esiste già un beneficio fiscale del 19% per privati che investono in startup innovative e il grado di utilizzo di questa misura è sconosciuto, non essendo conosciuto nessuno lo usa o viene usato poco rispetto a quanto potrebbe essere). Altra cosa direttamente collegata è che la legge deve essere facile, non una fattispecie troppo complessa per essere implementata. Oggi mancano troppi elementi per dire cosa manca nella bozza di decreto, posso solo dire che il beneficio deve essere il più esteso possibile e non ricondotto ad una sola categoria di imprese».