Tre domande a otto attori dell’ecosistema startup italiano. Per capire meglio quali dovrebbero essere gli incentivi che il governo sta preparando in queste settimane per il settore. L’opinione di Marco Cantamessa
Tre domande a otto attori dell’ecosistema startup italiano. Per capire meglio quali dovrebbero essere gli incentivi che il governo sta preparando in queste settimane per il settore (con il decreto Finanza per la Crescita 2.0) e cosa servirebbe davvero per dare una spinta alla giovani imprese innovative italiane. Le parole d’ordine? Investimenti, crescita ed exit. In quest’ordine. Le risposte alle nostre domande di Marco Cantamessa (presidente i3P).
Nell’annuncio del ministro Padoan del decreto “Finanza per la Crescita 2.0” si parla di meno tasse per chi investe in PMI. Oggi si scopre che il provvedimento potrebbe toccare anche le startup, con uno sgravio fiscale per le società che comprano quote in startup (si parla del 20%). Come valuta questa misura?
«La valuto ottimamente, perché credo sia un modo per stimolare le imprese italiane a fare corporate venturing, cioè a investire in startup che abbiano valenza strategica per l’impresa che compra queste quote. Altro tema importante è quello di facilitare non solo gli investimenti in aumento di capitale, ma l’acquisizione stessa della società. Oggi in Italia si esita a investire in startup perché poi sono pochissime le exit, cosa che si potrebbe provare a risolvere dando uno sgravio sia quando aziende investono in quote di startup, sia quando le comprano».
Dai privati potrebbero essere attivate risorse fino ai 10 miliardi l’anno da destinare a PMI per fare ricerca e sviluppo, ha detto il ministro al Corriere. Potrebbe innescare a suo avviso un meccanismo di acquisizioni di startup da parte delle aziende che ne beneficeranno?
«I conti sono presto fatti e non sono lontani dalla realtà. Sappiamo che oggi la ricchezza privata italiana è una delle più grandi al mondo. Si tratta di 4 mila miliardi di euro investiti in qualunque cosa, fuorché in quella “economia reale” che ha permesso nei decenni passati di generare questa stessa ricchezza. Probabilmente c’è troppa sfiducia nel futuro, perché siamo una società “vecchia” anche da questo punto di vista, ma allora bisogna collegare chi la ricchezza l’ha prodotta (o ereditata) con chi la può rigenerare. Immagino che su 4 mila miliardi di risparmi, avere un’allocazione anche molto piccola, del 2-3 %, in quote di società ad alto potenziale di crescita, sia assolutamente fattibile e non esponga la società italiana a eccessivi rischi. Stiamo parlando di 100 mld di euro, che non verranno investititi tutti subito, perché ci vorranno magari 8-10 anni per farlo. Dieci miliardi all’anno èuna cifra importante, ma del tutto ragionevole.
Visto che il decreto è ancora in bozze e le misure per le startup sono ancora poco più che ipotesi, cosa vorrebbe contenesse? Quale sarebbe la misura che potrebbe davvero fare la differenza ed aiutare gli investimenti in startup?
«A. Oggi gli italiani sono seduti su questa montagna di soldi che giacciono sui conti correnti, e non stanno investendo nell’economia reale, e ci si dovrebbe chiedere il perché. C’è sicuramente un motivo culturale, ma c’è anche un motivo finanziario: finché le startup non crescono o non vengono acquisite, gli investitori non crederanno fino in fondo a questa asset class. Il problema quindi non è tanto quello di favorire la finanza “a monte”, quanto quello di favorire “a valle” la crescita delle startup e la loro acquisizione.
B. Non riesco poi a capire come mai i governi tendano a premiare i comportamenti e mai i risultati. Si sta parlando di un credito d’imposta connesso all’investimento, ma poi la plusvalenza viene tassata al 26%! È una cosa che trovo curiosa, perché il costo per lo Stato è maggiore: anziché fare uno sconto ai pochi, fortunati e bravi, si dà un premio a tutti quelli che ci provano. Più corretto sarebbe riportare l’aliquota al 12,5%, come per i titoli di Stato, per chiunque investa in imprese ad alto potenziale di crescita. Sono plusvalenze che meriteranno questo trattamento, perché connesse a un maggior rischio, e perché nasceranno da chi ha scommesso sulla futura prosperità del Paese».