Il report valuta il crowdfunding paese per paese. Per l’Italia c’era Alessandro Lerro che commenta il lavoro: «Non siamo messi male, tanta ricchezza ma poca propensione al rischio»
Qualche settimana fa è stato pubblicato un report sull’andamento delle piattaforme di raccolta fondi online in Europa. Ci hanno lavorato ventisette esperti di crowdfunding per ventisette paesi europei in cui il settore sta sempre più crescendo. Di descrivere la situazione italiana si è occupato Alessandro Lerro, presidente dell’Associazione italiana Equity Crowdfunding (Aiec).
«Non siamo messi male»
Non siamo messi male. «L’Italia ha grandi prodotti e quindi un significativo deal flow potenziale sul quale investire. Ha anche molte aziende medio-grandi che potrebbero aiutare le nuove ad emergere, sfruttandone la tecnologia e accompagnandole sul mercato», spiega Lerro a Startupitalia aggiungendo che il Paese ha risorse finanziarie non indifferenti, ma una mentalità poco propensa all’investimento e al rischio. «Le condizioni operative stanno migliorando a vista d’occhio e quindi la relazione tra finanza privata ed impresa potrebbe concretizzarsi ed esplodere con grande rapidità. La crowd-economy trova in Italia un ecosistema favorevole, migliore per certi aspetti di Paesi chiusi come la Francia, o di Paesi burocratizzati e costosi come la Germania, pur in mancanza di volumi che per ora abbiamo visto soltanto in USA e UK», continua Lerro a cui abbiamo fatto qualche domanda partendo dalle conclusioni a cui è giunto lo studio.
In Italia, come siamo messi a regolamentazione e abitudini ai pagamenti digitali?
I pagamenti digitali ormai sono molto diffusi e ciò ha aiutato l’esplosione del fenomeno crowdfunding per donation e reward. Per quanto riguarda il crowd-investment, invece, finora la componente digitale è stata quasi assente, poiché la prima normativa CONSOB prevedeva obblighi che costringevano gli investitori a completare l’investimento off-line. Le nuove regole, adottate con il Regolamento CONSOB n. 19520 consentono ora di perfezionare l’operazione di investimento totalmente online, anche se comunque difficilmente si utilizzeranno carte di credito o strumenti di pagamento diversi dal bonifico, a causa dei costi di transazione, ancora troppo alti.
Il Paese ha risorse finanziarie non indifferenti, ma una mentalità poco propensa all’investimento e al rischio.
Serve più trasparenza e urgenza sui dati aggregati, in questo potrebbero essere d’aiuto proprio le autorità regolatorie. Anche su questo, come siamo messi in Italia? C’è abbastanza vigilanza?
I dati aggregati sono fondamentali per capire come va il mercato e come sostenerlo. Purtroppo non è facile ottenerne poiché i dati cominciano ad essere tanti e frammentati, mancano strutture corporative, gli istituti di ricerca hanno difficoltà nella raccolta. In Italia abbiamo cominciato dall’inizio e quindi riusciamo a controllare piuttosto bene l’evoluzione dei numeri. Il ruolo delle autorità di vigilanza però è diverso, devono prendere i feedback del mercato per risolvere eventuali criticità, non disegnare la politica economica del settore.
L’Italia è stata la prima ad avere un regolamento sull’equity crowdfunding. Paradossalmente, può essere che questo “anticipo” abbia frenato in mercato invece di favorirlo?
In effetti, la differenza tra l’Italia e gli altri Paesi è che la normativa è stata calata dall’alto su un mercato ancora inesistente, mentre gli altri Paesi hanno regolamentato il mercato man mano che si costruiva. L’approccio si è dimostrato sbagliato, tanto che sono stati necessari degli interventi di revisione, ma bisogna dare atto alle istituzioni che gli interventi sono stati assolutamente tempestivi e corretti. Non c’è dubbio che in Italia il legislatore sta orientando il mercato, consentendo l’accesso alla capitalizzazione on-line solo nella verticale dell’innovazione tecnologica, il che è un forte limite ed una significativa incoerenza: si consente agli investitori retail di investire solo sui progetti più rischiosi e difficili da comprendere. Un maggiore equilibrio consentirebbe di mobilizzare notevoli risorse attualmente ferme, spalmandole su settori diversi e determinando una maggior confidenza nell’investimento imprenditoriale. L’Italia è un Paese dove tradizionalmente si investe in mattoni e titoli di Stato o, al più, nella propria azienda, non nel sistema imprenditoriale.
I volumi continueranno a crescere e le differenze fra I Paesi si accorceranno con l’entrata in vigore delle nuove normative. Il focus è quello di rimuovere le barriere all’entrata. Obiettivo centrato anche dal nuovo regolamento Consob?
Il nuovo regolamento aiuta senz’altro nella definizione del processo di investimento, che ora ha una sua coerenza e anzi delle soluzioni che potrebbero favorire gli investimenti cross-border rispetto ad altri Paesi europei, dove sono fortemente penalizzati, o la raccolta per veicoli di investimento con una certa consistenza. La crescita dei volumi, però, dipende solo dagli operatori del mercato e dalla capacità che essi avranno di generare deal flow e di catalizzare gli investimenti.
Come sono le nostre piattaforme? Ancora troppo “Italo-centriche”? Come fare per farle “sconfinare”?
Il crowdfunding ha senso in quanto internet consente di collegare un progetto con volumi di potenziali sostenitori molto rilevanti. Tale obiettivo è ben raggiungibile per donation e reward crowdfunding, per i quali non esistono barriere territoriali o le limitazioni sono sporadiche e superabili.
In Italia la finanza alternativa ha storicamente avuto un ruolo del tutto marginale, con un livello di investimenti nell’imprenditoria mediamente inferiore ai 100 milioni di euro annui.
Invece il crowd-investment (lending ed equity) è regolamentato a livello locale, con una scarsissima propensione delle giurisdizioni a tollerare attività cross-border. Infatti, per ora una soluzione a portata di mano consiste nell’utilizzare piattaforme localizzate nei singoli Paesi e non una unica piattaforma internazionale, salvo situazioni particolari. Le nostre piattaforme sono appena partite e quindi ancora non sappiamo come si relazioneranno rispetto al mercato internazionale, spero che sapranno sfruttare le importanti potenzialità che hanno.
L’ottimismo sulla finanza alternativa prevale in Europa. E in Italia?
In Italia la finanza alternativa ha storicamente avuto un ruolo del tutto marginale, con un livello di investimenti nell’imprenditoria mediamente inferiore ai 100 milioni di euro annui. Però internet sta cambiando il mondo, attribuendo agli individui maggior conoscenza e consapevolezza, consentendo loro di capire e scegliere opportunità non immaginate e consentendo loro di coglierle con facilità. Quando la gente capirà che l’investimento in economia reale è meno soggetto dei mercati regolamentati agli umori degli operatori ed è più comprensibile, probabilmente inizierà a muovere il proprio denaro, attualmente fermo in banca. Le barriere principali che vedo sono legate alla user experience, troppo spesso trascurata dagli operatori, e dal costo delle transazioni elettroniche.