Intervista ad Andrea Campana che ha appena assunto l’incarico di amministratore delegato di Beintoo dopo la decisione degli azionisti: tra loro Innogest
Quando il ministero dello Sviluppo rilasciò i primi dati sul fatturato delle startup italiane, tra le 21 che nel 2013 superavano il milione qualcuna lo superava di un bel po’. Tra queste Beintoo, che già dai primi check delle istituzioni dimostrava un tasso di crescita interessante. Scalava, come una startup deve scalare. Dalla sua aveva i numeri, sì, ma anche un team di assoluto livello, un’idea che funzionava e, non da ultimo, un mercato. Innogest l’aveva finanziata con un round (allora record) da 4 milioni, e Claudio Rumazza, partner del fondo, ne aveva assunto la presidenza. Ma dietro Beintoo c’era soprattutto Antonio Tomarchio, founder e ceo, che l’ha lanciata e fatta crescere. Oggi dopo 5 anni la lascia per dedicarsi ad un altro progetto. Un’altra startup. Ma negli Stati Uniti.
Rimane con quote di partecipazione nella sua azienda ma si dedica ad altro, come da manuale di cosa vuol dire fare startup. A completare il quadro, al suo posto arriva un manager d’esperienza. Andrea Campana, classe 74, ha vissuto in pieno la parabola della prima esplosione della digital economy italiana. Anno 1999, dottorato in fisica, comincia ad interessarsi al digital advertising prima con GSM Box, poi passa in Dada, e ancora Zodiak. Ha creato business per le aziende in cui ha lavorato vivendo per 5 anni tra New York e Rio de Janeiro. Ora ha accettato la sfida di fare crescere una delle startup più interessanti del panorama italiano. Lo abbiamo contattato per farci raccontare la sua scelta.
Hai il profilo per lavorare come manager in molte aziende consolidate, invece hai scelto quella che possiamo considerare ancora una startup. Ci racconti questa scelta?
In realtà è vero che ho sempre lavorato per grandi aziende ma in questo caso è un po’ il contrario. Io mi sono sempre dedicato a fare startup per le grandi aziende. Nuovi uffici, nuove sedi. Creavo il team, il business. Paradossalmente Beintoo è l’azienda più grossa che mi trovo a gestire in realtà.
Che situazione hai trovato?
Un business già avviato e team consolidato prima di tutto. Beintoo ha il 100% degli asset sviluppati all’interno con il nostro team. Il fondatore Antonio Tomarchio gli ha dato forma, il mio obbiettivo è di prendere il suo lavoro e fare un salto, farla sclalre. Personalmente ho scoperto un’azienda che ha un bellissimo brand sul mercato e degli asset tecnologici che in Italia ho visto raramente. Dobbiamo condensarli e coagularli. E fare qualcosa di impatto sul mercato più grande.
Cosa vuol dire per la tua carriera?
Per me è un lavoro più maturo, voglio fare andare più veloce qualcosa che già c’è rispetto a cominciare da zero un nuovo business. E i miei obbiettivi sono condivisi con gli azionisti.
Un obbiettivo su tutti?
Farla crescere e diventare delle dimensione di una media impresa italiana. Adesso siamo molto lontani da quelle dimensioni, ma il team e le qualità ci sono.
Nati nel 2011, 30 dipendenti, sedi a Milano, Londra New York. Di scalare state scalando, quale è secondo te la vera forza di Beintoo?
Secondo me un asset è l’innovazione. Beintoo ha una storia molto articolata, si è espansa su tanti fronti in parallelo, cercando di lavorare su tutte le linee di prodotto. Una di queste era particolarmente azzeccata: che è capire che il mobile adv non è estensione del desktop adv ma è un paradigma diverso. I suoi punti di forza sono state queste idee da un lato, ma anche la sua propensione all’internazionalizzazione. Oggi ha business in UK, Usa e Cina. E su questo fronte apriremo anche a mercati più vicini come Spagna o Francia.