Uno dei concorrenti eliminati, Mattia, entra a gamba tesa sulle startup del food: «Fanno il boom e dopo 2 anni chiudono». Cronaca di una cena al Social Restaurant (per MasterChef). Dove tenere il cellulare a tavola è la regola
Disclaimer: vai lì per seguire la diretta di Master Chef, mangiare piatti gourmet e twittare. Alla fine, ve lo dico in 140 caratteri: ho twittato tanto, mangiato poco e seguito quasi per niente la diretta. E mi sono divertito. Tantissimo.
C’erano food bloggers, influencers, la social singer Lidia Schillaci, e poi i fan del programma e loro, Matteo, Rubina e Sylvie, gli ultimi concorrenti eliminati dalla cucina di Master Chef.
Fenomenologia del selfie
Arrivi al terzo piano del ristorante Eataly di Roma, il tempo di registrarti, firmare la liberatoria (perché tutta la cena verrà seguita da filmakers e rilanciata sui social) e una ragazza ti raggiunge con una padella in mano. Oddio, vorrai mica darmarmela in testa quella? “Ma no – ride – è per il selfie!”. E’ vero, c’è un tablet, lì dentro: ti selfi, editi tu stesso con qualche disegnino fatto a mano, tagghi e twitti.
Si selfano e si taggano tutti. Una foto da soli, una foto con l’amico, con la ragazza, una foto con Rubina, una con Matteo. Eccetera. E poi, il Twitter Halo. Alessandro me lo aveva detto: è molto bello. L’ho provato anche io e, vertigini a parte, “se po’ fà”.
Per il food più Instagram che Twitter
I concorrenti di Master Chef oggi sono anche delle webstars, e la gara ai followers è dietro l’angolo. Circa 20mila a testa, su Instagram. Su Twitter un po’ meno. A pensarci bene non c’è da stupirsi. Quanti di noi oramai fotografiamo tutto quello che mangiamo? L’ho fatto io al #fordsocialR, lo hanno fatto gli altri 20 commensali a cena.
Oggi il “mi piace” a un piatto lo vogliamo prima sui social e poi, in caso, lo diciamo noi.
Su Instagram gli hashtag #food e #foodporn sono quelli in assoluto con più like. E’ così anche per i concorrenti della MasterClass di Carlo Cracco & co, che sfruttano la popolarità arrivata col programma anche sul web.
Sylvie è da 20 anni in Italia, e parla con un accento che…. Che ve lo dico a fare, quelle erre strapperebbero più like di un #foodporn. Però di social non se ne parla neanche. «Uso di più il computer, ma per lavoro. Non amo mettermi in mostra». L’account twitter lo ha aperto la sera stessa del social restaurant di Ford. Eravamo seduti accanto a tavola, e tra un tweet, un’intervista e un boccone, Sylvie mi ha eletto a sua vittima predestinata. «Con Instagram mi aiuta mia figlia – che ha un account con decine di migliaia di followers, ndg – ma Twitter devo ancora capirlo», mi dice. E poi, «che dici, faccio solo cuoricino a Chiara Maci oppure retweet?». Insomma, dovevo intervistarla e alla fine è lei che ha fatto il terzo grado a me… 🙂
La cultura che si mangia
Tra una portata e l’altra, ho scambiato qualche battuta con Rubina Rovini, che è in dolce attesa. Una volta si diceva che con la cultura non si mangia, ironizzo, ma oggi mangiando si fa cultura. «E’ vero – mi dice – il cibo è cultura». E sul ruolo del web e dei social, per Rubina «Internet nel mondo del cibo ha fatto sì che anche l’utente medio diventasse più colto in questo settore. Il mondo del food è un mondo dove la cultura è immensa e non si smette mai di imparare e di innovarsi».
«Le startup del food falliscono»
Mattia D’Agostini, 20 anni, veneto, prima di partecipare a Master Chef faceva il cameriere. E’ molto simpatico, ma anche molto realista. E’ piaciuto a Joe Bastianich, che vorrebbe prenderlo a lavorare con lui. «Se chiama ci vado subito, in Italia non c’è posto per i giovani che hanno voglia di fare impresa», dice. Ma come, ribatto, il food è un hype oramai! Ci sono tante startup…. Non faccio neanche in tempo a finire di formulare il concetto. «Andiamo a vederle queste startup del food – risponde Mattia – quanto durano? Fanno il boom e poi chiudono dopo 2 anni».
Forchette in fuga
Mattia è disilluso, certamente, ma non ha poi tutti i torti. La fase 2 della food economy in Italia non si vede ancora. L’Expo è stato un grande trampolino per il Paese, ma il rischio è quello di non capitalizzare questo patrimonio. E vedere ragazzi in gamba come Mattia staccare un biglietto di sola andata per New York o Berlino.
Aldo V. Pecora
@aldopecora