Uber si tuffa nel mercato del food delivery con l’app Eats. Funziona come il ride-sharing ma trasporta cibo appena cucinato. Così mira a conquistare un business in espansione. E punta l’Europa con Parigi
Uber adesso ti porta la cena a casa. Il sistema di base è simile a quello di UberPop, l’app delle polemiche, e si chiama UberEats: a suonare alla vostra porta saranno sempre gli autisti della rete, con la loro auto.
Come funziona UberEats
Una volta ricevuto l’ordine, Uber contatta il ristorante e fa una stima del tempo di preparazione. Poi avverte gli autisti più vicini al locale, che potranno accettare o rifiutare la chiamata. Insomma: come un taxi, ma per cibo appena cucinato.
Il servizio costa 5 dollari. Sarà pagato a Uber, che poi darà una parte della commissione al ristoratore. Ci sarà anche un servizio speciale, battezzato Instant Delivery, cioè la consegna (solo a pranzo) entro 10 minuti. Una scelta che divide in due il sistema di remunerazione dei driver. Gli autisti di Instant Delivery, che devono essere sempre pronti all’azione, saranno pagati a ora. Nel servizio ordinario, per ogni consegna completata. Anche Uber, quindi, si tuffa con convinzione nel food delivery, che cresce e si dimostra in sintonia con l’hi-tech. Lo prova il fatto che la scelta sia stata ben ponderata. E basata sull’esperienza concreta. Il progetto è partito lo scorso aprile, con le prime consegne a Los Angeles e Barcellona. Poi Chicago e New York. Ottenendo una risposta che la società ha definito “incredibilmente positiva”. Ma, come al solito, senza rivelare le cifre in ballo.
Parigi avamposto in Europa
La sperimentazione è andata avanti a piccoli passi. Le consegne, prima limitate all’orario di pranzo, hanno esteso l’orario. E soprattutto è cambiato il sistema di trasporto. All’inizio, gli autisti trasportavano diverse ordinazioni in borse termiche. Il nuovo UberEats prevede invece un singolo viaggio per ogni consegna (a meno che le mete non siano molto vicine), a vantaggio della qualità. La prova generale c’è stata a Toronto, dove, per tutto il mese di dicembre, l’app è stata attiva, mettendo in rete un centinaio di ristoranti e consegnando i piatti dalle 10 del mattino alle 10 della sera. Dev’essere andata bene, visto che – dalla fine di marzo – UberEats sarà estesa, a pieno regime, ad altre dieci città. La lista completa, oltre a Toronto, a questo punto include Atlanta, Austin, Chicago, Dallas, Houston, Los Angeles, New York, San Francisco, Seattle, Washington. Con una sola, pesante, eccezione al dominio nord-americano: Parigi. Una scelta impegnativa (perché punta su un Paese dall’identità culinaria forte) che suggerisce quanto il ceo Travis Kalanick creda nel food delivery. UberEats ha già il suo avamposto europeo, primo presidio verso l’espansione futura.
Food delivery a tutti i costi
Quando si parla di Uber, vengono subito in mente i taxi. O, meglio, il trasporto di persone. Da tempo, però, la compagnia sta sperimentando nuove strade per massimizzare la resa di risorse tecnologiche e rete logistica. Negli Stati Uniti ha utilizzato gli autisti anche per trasportare oggetti tra privati. Ha fatto la stessa cosa rivolgendosi alle attività commerciali con UberRush (esteso lo scorso ottobre a Chicago, New York e San Francisco). E ha tentato anche la strada dei pony express in bici, con Corner Store.
UberEats, però, è una sorta di investitura per il mercato del food delivery. Perché la prima app “indipendente” rispetto a quella della casa madre. Per conquistare il settore, Kalanick è pronto ad aprire il portafogli. Per capirlo, basta leggere le parole di Sunil Paul, ceo di Sidecar. La compagnia, concorrente di Uber nel ride-sharing, aveva tentato la carta delle consegne a domicilio. Ha mollato e venduto gli asset a General Motors. Il motivo? “Abbiamo fallito, soprattutto perché Uber ha capitali praticamente illimitati ed è disposta a vincere a qualsiasi costo”.
Paolo Fiore
@paolofiore