Per evitare di vedersi scippare la denominazione dall’estero, un sindaco ha “legato” il vitigno Pignoletto al territorio perimetrando una località geografica precisa. Mentre il Lambrusco teme ancora
Mentre il Lambrusco italiano teme l’abbraccio di produttori spagnoli e portoghesi che pretendono di usarne il nome, in conformità alla nuova Legislazione europea, il Pignoletto si salva grazie all’esistenza di un’omonima località geografica, creata due anni fa da un primo cittadino lungimirante. Il Pignoletto, un vino le cui viti crescono rigogliose nei territori compresi tra le province di Bologna, Ravenna e Modena, deve un ringraziamento speciale a Daniele Ruscigno, sindaco del Comune di Valsamoggia. Due anni fa, infatti, il primo cittadino ha avuto la lungimiranza di delimitare una località geografica e di chiamarla proprio come il vino, perché fosse ben definibile sulla mappa, al fine di evitare che la denominazione vinicola potesse essere copiata da aziende o produttori stranieri.
L’importanza del riferimento geografico
L”importanza di un legame tra la località geografica e la denominazione vinicola sta emergendo fortemente dall’orientamento normativo della Commissione Europea. Alla fine del 2015, a Bruxelles si è infatti discussa la possibilità di togliere dalla lista dei vini protetti tutti i vini che prendono il nome dal vitigno come Lambrusco, Vermentino, in parte anche il Sangiovese, procedendo, di fatto, a una liberalizzazione. La questione del Lambrusco, emersa negli ultimi giorni, sta facendo tremare i coltivatori del consorzio emiliano: la denominazione di origine è protetta fin dagli anni 70, da leggi nazionali e comunitarie. La riproduzione della denominazione da parte degli spagnoli e dei portoghesi potrebbe significare il tracollo dei coltivatori locali. Si svolgono riunioni tra i consorzi, i sindaci e i coltivatori per decidere come intervenire sulla questione. Per il Pignoletto, però, la questione è diversa: secondo l’Unione Europea è differente proteggere un vino con una chiara definizione geografica, come ad esempio il Prosecco, che vanta un comune con lo stesso nome, rispetto al solo nome del vitigno, senza riferimento geografico.
La lungimiranza ha salvato il Pignoletto
Un vasto territorio, nel cuore dell’Emilia Romagna, le cui colline si estendono dalla valle del fiume Secchia a quella del torrente Sillaro, i cui legami con la tradizione vinicola sono rintracciabili anche in alcuni documenti redatti da Plinio il Vecchio. Il Pignoletto nasce qui, in una delle zone più verdi della regione, anche se i tentativi di imitare il marchio all’estero ci sono stati, come racconta Ruscigno: «C’era il rischio concreto che il vino simbolo dei nostri colli venisse prodotto in paesi come Australia o Slovenia, dove venivano già segnalati impianti di Pignoletto. Me lo disse il presidente del consorzio dei produttori dei vini dei colli bolognesi, che ha sede nel nostro territorio. Mi dissero che ci stavano portando via le denominazione e che serviva una località sulla mappa». Oggi che una delibera comunale delimita la zona di territorio compresa nel perimetro del parco regionale dell’Abbazia di Monteveglio, il paesaggio non è più solo caratterizzato da calanchi e boschi, ma anche dal disegno delle vigne che nel frattempo sono state piantate sempre più, situazione che ha favorito anche la nascita del Consorzio del Pignoletto. Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi ha commentato così l’espansione del Pignoletto, durante un’intervista rilasciata alla rivista “Terra e vita” nel novembre scorso, «L’ultima “espansione” in ordine di tempo è quella del Pignoletto, che cerca di seguire l’esempio (e la fortuna) del Prosecco. Il Pignoletto dei Colli bolognesi è diventata una Docg, mentre la Doc si estende da Modena a Faenza. Si tratta di evoluzioni positive e in controtendenza rispetto alla politica dei mille campanili che aveva portato negli anni al moltiplicarsi di piccole denominazioni oggi non più sostenibili, alla luce di una evoluzione normativa che, tra l’altro, ha introdotto la terzietà dei controlli. Il ruolo dell’origine comunque non è compromesso: la normativa consente di valorizzare sottozone e cru, ed è questa la strada che seguono le denominazioni di maggiore pregio».
La creazione dell’area geografica
Grazie a uno studio dell’Università di Bologna che ubicava in questi luoghi la culla del Pignoletto, fu possibile creare un’area definita da confini precisi; nacque così la località chiamata “Pignoletto”, perfettamente perimetrata e indicata da un’adeguata cartellonistica. Due anni fa, erano diversi i cittadini non convinti della decisione, ma ora la strategia di Ruscigno si è dimostrata lungimirante, soprattutto in corrispondenza del nuovo indirizzo normativo dell’Unione. «Fu una scelta condivisa coi cittadini anche se qualcuno era scettico. Ma io dissi loro che era un investimento sul loro futuro e sul loro lavoro», commenta oggi Ruscigno.
Il legame con la terra è protezione del marchio
Nel provvedimento del Ministero delle Politiche agricole, datato 28 agosto 2014, concernente la domanda di protezione per il Pignoletto, emerge chiaramente come il legame esistente tra le caratteristiche organolettiche del vino e le condizioni ambientali ed ecologiche della zona, sia un fattore determinante per creare un vincolo sulla denominazione, che diventa poi lo strumento di identità e protezione più forte che ci possa essere. Come spiega la relazione del Ministero: “Il clima nelle sue varie espressioni ha uniformato il passaggio e di conseguenza, le colture, tanto che i vitigni che compongono la base ampelografica dei vini a Denominazione di Origine Controllata “Pignoletto” sono allevati e coltivati con tecniche sostanzialmente omogenee in tutta la zona”. Grazie a questa corrispondenza tra condizioni geografiche, ambientali e climatiche e caratteristiche del vino, il Pignoletto è ora una denominazione protetta, che non deve più temere l’imitazione e che trova nel legame con la terra il suo più potente alleato.