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A Bologna ogni cosa bella passa attraverso il cibo. Il senso di comunità, di unione e di appartenenza davanti ad una pietanza è un elemento sempre più forte nella cultura emiliana, che racconta in tutta la sua genuinità l’importanza dello stare a tavola tutti insieme. 

Ed è di questo avviso anche Roberto Morgantini, vice-presidente e fondatore di Cucine Popolari di Bologna, progetto sociale di volontariato che ha creato in quattro quartieri di Bologna, un luogo – o mensa sociale  in cui le persone più in difficoltà potessero avere non solo un pasto caldo ma anche la possibilità di scambi sociali. 

«L’idea è nata dal basso, tra amici, per dire che era possibile creare un contesto nuovo di cucina popolare, qualcosa aldilà delle mense già attive sul territorio», racconta a StartupItalia Roberto Morgantini. La differenza tra mensa e cucina è evidente: «In mensa ti ritrovi a mangiare con una toccata e fuga e spesso non riesci a vedere nemmeno chi hai di fronte. La nostra idea di cucina, invece, era quella di includere le persone, non solo con il cibo, vitale e importante per aiutare chi fa fatica a mettere insieme due pasti giornalieri, ma anche attraverso la socialità».

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La mensa casalinga per farti sentire a casa

Unire i più poveri davanti ad un piatto di pasta (e non solo), aiutandoli a creare nuovi legami e sinergie per la vita. Tratto distintivo di Cucine Popolari? Il far sentire tutti a casa. «La nostra è una cucina casalinga: le tavolate hanno piatti di ceramica, bicchieri di vetro e tovaglie», spiega il fondatore. Un ambiente di vera accoglienza: ogni Cucina Popolare è aperta a tutti, per stare insieme agli altri e creare relazioni.  «La nostra cucina fa vedere anche un mondo che, generalmente, vive nell’immaginario di molti. Si parla sempre del ‘povero’, ma non lo vedi mai davvero, non ti siedi a tavola con lui. Qui,  invece, c’è la possibilità di farlo e nascono così tante nuove amicizie, situazioni di scambio e di mutuo aiuto». 

La povertà non viene vissuta come colpa o vergogna, ma come momento per dedicarsi agli altri, nonostante tutto, e accettare la mano del prossimo. «La carità è un atto o un gesto in cui aiuti qualcuno, ma un’altra cosa è il voler creare un ambiente in cui venga restituito qualcosa alle persone che vengono da te». L’obiettivo di Cucine Popolari è restituire anche quella dignità che purtroppo alcune persone hanno perso nel tempo e la voglia di tornare a vivere in un altro modo. «Non siamo un ghetto, ma un luogo dove le persone possono ritrovarsi, e dove possono rimettere insieme i pezzi che spesso hanno smarrito per strada».

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Oltre ogni confine per aiutare il prossimo: Cucine Popolari e il futuro

Oltre 600 pasti prodotti al giorno, più di 300 persone a supporto del progetto e nuove cucine anche a Cesena, Genova e in apertura a Cervia. Per Cucine Popolari, sono proprio i volontari ad essere la vera spina dorsale della comunità. 

Alcuni sono pensionati – come il fondatore – e, tra gli altri, ci sono anche ospiti che si dedicano a supportare le Cucine in cui hanno mangiato. Dal preparare i pasti al ricercare le materie prime: sono sempre di più le persone pronte a diffondere e sostenere questa realtà. «La cosa più importante in questo atto solidale è il tempo ed è quello che i nostri volontari impiegano e dedicano agli altri, a prescindere dalla propria condizione. Non solo lavorando nelle cucine, ma anche aiutando a preservare il decoro della città, come l’attività di pulizia che hanno fatto sul Ponte di Stalingrado».

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La forza di questo progetto dal cuore emiliano non si esaurisce così. Oltre ad abbattere ogni confine regionale, Cucine Popolari punta ad abbattere anche ogni differenza culturale, coinvolgendo tutti i presenti sul territorio. «Abbiamo creato una prima cucina laica, ma poi abbiamo incontrato nel quartiere Navigli di Bologna un parroco eccezionale e dei volontari della parrocchia molto disponibili. Abbiamo pensato fosse bello  unire le forze per poter dare una mano a più persone possibili, perché questo è l’unico grande obiettivo», conclude Roberto Morgantini. 

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Cristiani, ortodossi, musulmani e atei. A Bologna l’unione vale più di tutto e il cibo è il legante per aiutare gli altri. «Un incontro di mondi diversi che pensano magari anche in modo diverso, ma che riescono a trovare l’unità nella costruzione in un obiettivo più grande».