Pranzi e cene in casa di famiglie locali, corsi di cucina al posto dei souvenir: nel turismo i nuovi globetrotter puntano alla cultura enogastronomica nella scelta delle destinazioni. I più orientati? Britannici, statunitensi e tedeschi
Come si fa a impossessarsi davvero della cultura profonda di un luogo? Un paio di sondaggi – rispettivamente firmati da CartOrange, il più grande network italiano di consulenti di viaggi, e Babbel, la piattaforma per imparare le lingue straniere online – rispondono con un messaggio chiaro: bisogna passare dalla cucina. Che i nuovi viaggiatori vogliano – anzi, pretendano – di sentirsi sempre meno turisti nel senso tradizionale (e noioso) del termine è ormai evidente dalla continua diversificazione delle esperienze di viaggio. “Gli italiani mettono il cibo tra le gioie della vita e i viaggiatori più attenti hanno sempre avuto una grande curiosità per la cultura gastronomica dei luoghi che visitano – racconta Silvia Romagnoli di CartOrange – le escursioni non bastano più. Da diversi anni abbiniamo ai nostri viaggi una serie di esperienze culinarie selezionate dai nostri esperti in loco, per far vivere ai viaggiatori una vera immersione nella cultura del luogo”.
Un’esperienza in famiglia
Lo dimostrano anche altre esperienze che stanno nascendo proprio in questo periodo e che sposano turismo e gastronomia in modi molto più raffinati che in passato: “L’esperienza di un pasto tradizionale in famiglia è fra quelle che esaltano di più i nostri viaggiatori – spiega ancora Romagnoli – la proponiamo per esempio in Giordania, in Turchia e in India. Oltre a imparare sapori, ricette e provenienza dei cibi direttamente da chi li prepara, i viaggiatori scoprono dal vivo delle tradizioni che mai potrebbero conoscere in un normale ristorante. Per esempio in India, dove è costume mangiare con le mani, le famiglie insegnano agli ospiti quali sono i movimenti giusti, la loro sequenza e le regole di etichetta. Gesti autentici che valgono più di mille descrizioni in una guida turistica”.
L’esperienza di un pasto tradizionale in famiglia è fra quelle che esaltano di più i nostri viaggiatori
I corsi di cucina, nuovi souvenir
Un altro ingrediente importante dei nuovi viaggi culinari sono i corsi di cucina. Pare abbiano soppiantato i souvenir tradizionali. Nel senso che si preferisce imparare e replicare a casa piuttosto che acquistare il singolo prodotto tipico: “Tornati a casa poi si ripropongono agli amici le ricette e i sapori conosciuti all’estero” aggiunge Romagnoli, che include fra le esperienze la preparazione di un pasto tradizionale in Vietnam, compresa la spesa al mercato accompagnati dagli chef, e un sushi workshop in Giappone per cogliere tutti i segreti dell’arte culinaria nipponica. O ancora, assistere in Armenia alla preparazione del tolma (involtini di foglie di vite farcite) e del lavash, il pane tradizionale, da gustare in una cena accompagnata da danze e musiche tradizionali. O partecipare in Cina alla rigorosissima cerimonia del tè, mentre sermpe in Giappone si viene indirizzati nei posti giusti per gustare il celebre pesce palla. In Uzbekistan si possono degustare i vini di Samarcanda e pranzare nelle yurte durante l’attraversamento del deserto e così via, ai quattro angoli del globo.
Allargando lo sguardo, è Babbel – che propone anche corsi specifici sulle cucine spagnola, sudamericana o turca – che ci viene in aiuto raccontandoci quanto pesi il cibo nella scelta di una destinazione di viaggio. A quanto pare, sono soprattutto britannici, statunitensi e tedeschi a farsi orientare dalla buona cucina nelle loro prenotazioni. Se la percentuale internazionale totale parla di una media del 9%, la cifra varia non poco: il 10% degli abitanti dei Paesi di lingua tedesca indica per esempio proprio quello che troverà nel piatto tra le ragioni per viaggiare, cinque volte più degli italiani – fermi al 2% e d’altronde affezionatissimi alla propria cultura culinaria – e i Paesi anglosassoni si attestano all’11%.
A proposito di cultura enogastronomica italiana: secondo Babbel gli utenti più interessati al corso dedicato sono proprio i tedeschi (48%). Secondi, un po’ a sorpresa, i francesi con il 22%, seguiti dagli inglesi (14%).