Un’indagine Mintel sui giovani statunitensi racconta il ribaltamento dei valori: la Generazione Y pronta a rinunciare ai propri brand preferiti. A causa della scarsa trasparenza. Ecco cosa cambia
McDonald’s non se la passa bene, anche se gli ultimi dati sulle vendite trimestrali negli Stati Uniti hanno sfoderato un microscopico +0,9%. Nel corso del 2015 il colosso ha tuttavia serrato le saracinesche di 700 negozi nel mondo. Il primo trimestre dell’anno, in particolare, era stato drammatico. Il panino veggie che già esiste in molti ristoranti della catena, per esempio in India e in Germania, non sembra ancora vedere la luce in Italia, anche se annunciato mesi fa insieme alle alternative per celiaci. Ma, questioni locali a parte, in generale la presa del brand sulla massa internazionale dei consumatori sembra indebolirsi e in particolare rimodularsi di anno in anno.
La rivoluzione guidata dai Millennials
È solo un esempio – se ne potrebbero fare molti altri – della sempre più profonda consapevolezza dei consumatori in mercati anche molto diversi fra loro nei confronti di ciò che mettono nella busta della spesa, nel piatto oppure ordinano a pranzo e cena fuori. In particolare, lo racconta un rapporto di Mintel, c’è una categoria specifica che sembra al vertice di questa sorta di rivoluzione. Che non è derubricabile a fissazione salutistica: c’è al contempo qualcosa di più e qualcosa di meno rispetto al mero orientamento alimentare. La categoria è quella dei cosiddetti Millennials, i nati fra la fine degli anni ’70 e la fine dei ’90. Più o meno, gli attuali ragazzi fra i 21 e i 38 anni, anche se molti altri istituti di ricerca preferiscono restringere la forchetta della Generazione Y più rigidamente ai figli degli anni ’80.
Sempre meno fedeli
Bene, stando a quanto esce dallo studio del colosso del marketing su un gruppo di Millennials statunitensi ma certo rappresentativi dell’orientamento in buona parte dei Paesi occidentali, gli appartenenti a questa macrogenerazione sono sempre meno fedeli ai brand storici dell’alimentare. O meglio, sono ben più disponibili di padri, madri, zii e fratelli (più del doppio) a rinunciare a un prodotto o un marchio preferito se questo non garantisce un approccio etico condivisibile. Che muove dunque dalla salute, senz’altro, ma si lancia ben oltre, verso una condivisa gerarchia di valori. Molto diversa da quelle del passato.
Poca fiducia…
Più di due Millennials su cinque negli Stati Uniti (43%) sostengono di non fidarsi dei colossi dei food. Una percentuale che nelle altre fasce di popolazione scende a un misero 18%. Allo stesso modo, il 74% degli appartenenti alla Generazione Y si augura che le food company diventino più trasparenti sul modo in cui producono gli alimenti messi in vendita (anche in questo caso, sebbene in misura minore, la percentuale nelle altre fasce di popolazione è inferiore e si stabilizza al 69%).
…ma non rinunciano al marchio
Rinunciare a un certo brand, insomma, ma non alla logica del marchio. Anzi. Secondo l’indagine il 37% crede che rimanga un fattore d’acquisto essenziale (fra i non Millennials lo sostiene solo il 25%). Questo, insomma, significa – come in fondo McDonald’s e molti altri sembrano aver capito, pur nelle difficoltà di arricchire e ribaltare i loro parametri di produzione – che la fascia media della popolazione sfodera un atteggiamento diverso rispetto alle precedenti generazioni. L’approccio rispetto alla salute, ha spiegato la food analyst di Mintel Amanda Topper, è proattivo. E si trasferisce su tutte le loro scelte: brand, preferenze di prodotto e, alla fine, acquisto. “I Millennials citano gli ingredienti di alta qualità come il fattore più importante quando fanno la spesa – ha detto Topper a Marketing Daily – promuovere ingredienti naturali è dunque un passo nella giusta direzione da parte dei giganti dell’alimentazione per guadagnarne la fiducia. Maggiore trasparenza nell’etichettatura e nelle strategie di marketing” sono anch’essi mezzi efficaci per tentare di recuperare fascinazione e fedeltà. Attenzione, però: la genuinità proposta dev’essere verificata e onesta. I Millennials vogliono essere conosciuti dai brand, pretendono che questi propongano loro prodotti personalizzati e che li raccontino nel modo giusto. Ma vogliono anche la sostanza. Cioè che ciò che viene pubblicizzato sia autentico.
Il dilemma etico
Non c’è alternativa. Senza il sostegno di quella porzione di consumatori è difficile tutelare la propria centralità nell’ecosistema del cibo. Il 59%, dice Mintel, non acquisterebbe più certi marchi se sapesse che il brand è gestito in modo poco etico. Ancora: il 58% è d’accordo per esempio sul fatto che il luogo in cui acquisti frutta e verdura rifletta i proprio valori personali. Una cifra che fuori da quel target scende al 28%. Insomma, come si diceva all’inizio non è (solo) una questione di salute. Per i Millennials, mai impreparati, il brand è una cosa sacra. Esprime loro stessi, i valori, le convinzioni. Quando riguarda il cibo moltiplica la propria importanza. Ecco perché l’indagine individua in loro atteggiamenti che pensavamo dimenticati come per esempio l’acquisto nei reparti dei prodotti freschi o la scarsa predilezione per i cibi eccessivamente processati. Produzioni locali e negozi specializzati che distribuiscono marchi magari di nicchia ma stimati stanno diventando i loro posti preferiti dove arricchire la dispensa.